La recensione di ‘Ungaretti poeta e soldato’, in scena dal 10 al 23 aprile 2024 in teatri di Veneto e Friuli Venezia Giulia
Fra ottobre 2024 e maggio 2025 prenderà forma, in Friuli Venezia Giulia, una serie di mostre dedicate a Giuseppe Ungaretti.
Al Museo di Santa Chiara, a Gorizia, si potrà vedere ‘Ungaretti Poeta e Soldato’.
Alla Galleria d’Arte Contemporanea di Monfalcone, invece, verrà allestita ‘Da Boccioni a Martini. Arte nelle Venezie al tempo di Ungaretti sul Carso’.
Si tratterà, possiamo supporre, di iniziative realizzate con grande attenzione, di forte impatto e con pezzi interessanti, perché questà è la cifra distintiva di Marco Goldin , autore da anni di rassegne espositive di grande successo di pubblico.
A Gorizia sono preannunciati contributi video interessanti, materiali relativi alle trincee ed agli anni di guerra ed i lavori di dodici artisti contemporanei chiamati a raccontare le atmosfere ungarettiane con le loro opere.
Idea questa non proprio innovativa, visto che ricordiamo con piacere la bella mostra di qualche anno fa intitolata ‘Pittura di guerra’, curata da Dino Marangon e coordinata da Balilla Gritti, che aveva coinvolto differenti realtà espositive del Triveneto e quasi settanta artisti, dedicata alle vicende tragiche del primo conflitto mondiale , ma certamente questa nuova proposta saprà suggerire altri stimoli, anch’essi interessanti.
La mostra di Monfalcone volgerà lo sguardo al fecondo gruppo di artisti di Ca’ Pesaro, e questo permetterà di celebrare, accanto ai più noti Rossi e Martini, alcune eccellenze formatesi nel territorio friulano e giuliano e costrette a spostarsi per trovare quel consenso e quella approvazione che nutrono l’animo degli artisti.
Ma aspettando di poter recensire quelle esposizioni, ritorniamo al presente e precisamente alla serata ‘Ungaretti poeta e soldato. Il Carso e l’anima del mondo’, la presentazione per lanciare le future proposte ideata da Goldin, come si è scritto deus ex machina delle mostre e sempre più tentato dal mondo del teatro.
Un magnifico modo per attirare l’attenzione di media e pubblico: intelligente, garbato, con momenti di forte suggestione e pagine di grande interesse, è stato un susseguirsi di sold out in tutte le piazze coinvolte, come ha ricordato l’Assessore regionale Anzil nel breve ed interessante discorso d’apertura, nel quale ha ricordato il bisogno di guardare all’arte come al luogo della polifonia e di rifuggire dal pensiero unico.
Nessuna conferenza stampa e nessun vernissage avrebbe attirato così tante persone e difficilmente avrebbe suscitato tanto entusiasmo ed interesse.
Quindi se ci fermiamo all’idea di una presentazione a supporto di future iniziative, bisogna riconoscere un successo trionfale, una grande modalità comunicativa ed una brillante ricaduta d’immagine.
Grandi complimenti a Goldin, senza se e senza ma.
Se invece vogliamo guardare alla serata come una occasione teatrale a sé stante, ci sono alcune considerazioni che meritano di essere formulate.
Un atto unico, di quasi un’ora e mezza, con momenti riusciti ed altri un po’ meno.
In scena un pianoforte, uno schermo ed una poltrona.
Sullo schermo scorrevano immagini differenti: qualche frammento d’archivio; dei suggestivi scorci del Carso, fra trincee che ancora urlavano di sangue ed il rincorrersi delle sfumature dell’autunno; alcune animazioni un po’ troppo didascaliche; particolari intensi di alcuni dipinti . Il tutto animato e ben coordinato da Alessandro Trettenero, capace di alcune suggestioni visive di forte impatto, soprattutto nei momenti di canto.
Sulla poltrona sedeva, quando non camminava in giro per il palco, Marco Goldin, autore anche del testo.
La scrittura è stata di grande eleganza: raffinata, attenta, mai banale, con un lessico ricercato ma mai saccente. Misurata e piacevole, in grado coinvolgere il pubblico più raffinato ma anche di avvincere quello curioso e meno esperto.
Francamente quella cui abbiamo assistito, però, è più una riuscita lezione che una prova attoriale: un racconto forbito ma monotonale, una narrazione più didascalica che coinvolgente.
Probabilmente Goldin ne era perfettamente cosciente, visto che ha scelto di affidare la recitazione di gran parte delle liriche ad un attore, Gilberto Colla, ma allora forse bisognava valutare i tempi scenici e ricordarsi che in ogni caso il codice comunicativo individuato era quello teatrale, che è più complesso di quanto normalmente si creda.
Non bastano le entrate in scena di uno stereotipato Ungaretti, avanti negli anni nonostante sul palcoscenico si mostrino e si descrivano, con minuzia maniacale, i mesi giovanili vissuti attorno al San Michele, per vivacizzare la vicenda.
Oltretutto la gran fretta di far uscire il Poeta, spingeva Colla a recitare gli ultimi versi camminando frettolosamente, impedendo a quelle parole di vestirsi di tutta la suggestione e l’intensità che meritavano.
Difficile capire, inoltre, perché in uno spettacolo dedicato a lui, Ungaretti non fosse sempre in scena, mentre il suo narratore stava comodamente seduto su una poltrona che sembrava sempre di più imparentata a quelle di Savinio.
Certamente una scelta registica che avrà le sue ragioni, che non abbiamo saputo cogliere, mentre abbiamo sentito una subalternità che in certi momenti era perfino irritante.
Qualche mese fa, sempre ad Udine, l’autore del’ Porto Sepolto’ era stato ben ricordato in uno spettacolo che vedeva in scena il giornalista Nicola Cossar ed il cantautore Edoardo de Angelis: ‘Il dolore del mondo’ .
Il primo raccontava le vicende biografiche, mentre il secondo emozionava con le sue canzoni, senza citare le parole del poeta, ma facendo riaffiorare l’atmosfera, evocando una simile intensità, coinvolgendo emozionalmente e dimostrando come la poesia sia una manciate di sementi, in grado di far fiorire i cuori di chi la sa cogliere.
Qualcosa del genere è successo anche in questa occasione: le parole hanno informato, verrebbe da dire, vista l’età decisamente non scolastica dei presenti, che sono state un sontuoso ripasso.
Ma quello che ha fatto prendere forma all’anima di Ungaretti, gli ha dato respiro , ci ha regalato una pioggia di lacrime, sono stati gli apporti musicali, affidati alla tromba sicura e suggestiva di Diego Cal ed ai contributi di Remo Anzovino ed Antonella Ruggiero.
Anzovino, autore di tutte le musiche, ha saputo pastellare delle armonie forti di una vastissima tavolozza ,che pescava nel sangue dei soldati uccisi, nello sguardo delle madri atterrite, nel respiro del cielo comunque sereno, nel ritmo , ora incalzante, ora quasi languido, dei versi di Ungaretti.
Preciso, sensibile, mai autoreferenziale e mai troppo al centro della scena, ha tessuto, con la sua musica, una sorta di magnifica trama, che ha fatto scappare dal contingente per farci volare frale sensazioni più inconsce e pure.
Infine la Ruggiero. Ha cantato tre magnifiche canzoni, musicate da Anzovino e scritta da Goldin che realmente si dimostra figura eclettica ed interessante: ‘Quando Tornerai’, ‘L’odore del mare’, ‘Le foglie e la neve’.
Oggettivamente circa un quarto d’ora, su ottanta minuti di spettacolo, eppure da sole hanno saputo dilaniare il cuore dei presenti, che nel trionfo d’applaudi finali, hanno dedicato alla cantante una vera apoteosi.
Quello che ha incantato non sono stati né la bravura tecnica né l’estensione vocale. Ruggiero è infallibile, sicura e precisa, coglie le note senza alcuna esitazione. Gli anni che passano non hanno ferito il suo strumento, che è pieno, omogeneo, capace di escursioni siderali e di sprofondi nelle tonalità più magmatiche. Verrebbe da dire che il tempo ha tolto alla sua voce il glamour del fenomeno per regalarle la sostanza dell’arte.
Quello che ha rigato di pianto le guance di tanta parte de pubblico è stata la forza interpretativa, la capacità di scolpire nel suono il senso di ogni parola.
Ha raccontato la paura di una madre calabrese, che sa che il figlio è al fronte, al confine di quell’Italia che gliel’ha rubato e chiede conforto al mare.
Un racconto di solitudine, di dolore, di compostezza, nel quale certi passaggi ariosi ci fanno vedere l’angoscia di questa donna, toccarne il dolore, trattenuto, quasi fosse una figura di Casorati, immaginarla paralizzata nel vuoto di un abbraccio che è dilaniato dalla solitudine.
Canta i primi due brani all’inizio della serata e riappare sul palcoscenico solo alla fine.
Per raccontare, senza dirlo, la paura della fine, in un crescendo musicale che permette alla Ruggiero di inanellare virtuosismi mai leziosi ed ancor meno autoreferenziali.
Il canto è talmente sapiente da riuscire a farci percepire, attraverso un gioco di ritmi e pause controllati ed eleganti : il rantolo di un grido trattenuto, la paura che ti strozza la gola ma ti fa continuare a pregare, la supplica inesauribile, affidata al soffio del vento.
Con questa canzone la Ruggiero, che alla fine concederà anche un bis del primo brano, che a questo punto appare ancora più carico di narrazioni e sfumature, prende per mano l’intero teatro per accompagnarlo in una dimensione metafisica realmente poetica. Nella quale il canto si fa veicolo dell’Assoluto, le note sono gravide di poesia ed il suono ci conforta ed accarezza l’animo.
Non sappiamo dire se fossero realmente necessari tutti gli ottanta minuti della serata.
Certamente, però, alla fine dell’incontro, Ungaretti, quello vero, c’era.
Gianluca Macovez
19 aprile 2024
informazioni
UNGARETTI POETA E SOLDATO.
Il Carso e l’anima del mondo
Uno spettacolo di e con Marco Goldin
Musiche originali al pianoforte Remo Anzovino
Canta Antonella Ruggiero
Letture Gilberto Colla
Tromba Diego Cal
Animazioni Video Alessandro Trettenero
produzione: Linea d’ombra