Recensione dello spettacolo Il Prestanome. Dall'omonimo film di Walter Bernstein. Con Antonello Avallone. Adattamento teatrale e regia di Antonello Avallone. In scena al Teatro Sette dal 4 al 21 aprile 2024
New York, anni ‘50. Lista nera. Un sistema di controllo governativo che precludeva agli artisti, scrittori e persone dello spettacolo, inseriti nella “lista”, la possibilità di lavorare perché reputati sovversivi o sospettati di simpatie comuniste. Alfred Miller ( Roberto Attias) è uno scrittore di talento e autore di testi televisivi a cui improvvisamente sono state chiuse le porte perché comunista e inserito nella black list. Risucchiato rapidamente nell’anonimato, senza futuro né identità, sfida lo strapiombo della strada più pericolosa ma l’unica percorribile: chiedere al suo amico Howard Prince ( Antonello Avallone) , cassiere di un bar, di essere, dietro compenso, il suo prestanome. Questi, accettando immediatamente la proposta, soprattutto a causa di una serie di debiti da sanare, si trova proiettato nel mondo televisivo che, grazie al successo dei “suoi” testi frequenterà sempre più assiduamente. Entra in contatto con il produttore Phil Sussman ( Stefano Santerini ) e la sua collaboratrice Florence Barrett ( Elettra Zeppi) entrambi molto entusiasti della sua scrittura, a tal punto da motivare Florence ad intraprendere una relazione sentimentale con lui, affascinata più dall’artista che dall’uomo. Sullo sfondo è sempre presente l’ombra dei sistemi di controllo americani costantemente intenti a frugare nel passato degli artisti per intercettare anche il minimo indizio di simpatie comuniste ed estrometterli dal circuito che conta. Esattamente come stava succedendo al comico Hecky Brown, umiliato e fatto fuori dal giro, nonostante la notorietà, e costretto ad accontentarsi di spettacoli di periferia scarsamente retribuiti. Lo stesso Howard verrà interrogato dalla Commissione per le attività anti americane poiché sospettato di amicizie non gradite. Ma anche la normalità della gente ordinaria può generare comportamenti straordinari.
La trasposizione teatrale da parte di Antonello Avallone della pellicola originale (1976) di Walter Bernstein, diretta da Martin Ritt e interpretata da Woody Allen e Zero Mostel, è di stoffa pregiata. Uno dei grandi meriti di Avallone è da sempre rintracciabile nell’appropriatezza delle sue scelte registiche nei riguardi degli adattamenti teatrali: in particolare il costante rispetto per la versione originale, di cui ha sempre preservato l’intelaiatura, pur non rinunciando al suo stile. A tal proposito non è sfuggito il dettaglio di iniziare la vicenda ambientandola nell’anno e giorno della sua nascita.
L’ impronta espositiva è di stampo cinematografico e si muove per sequenze in cui l’alternanza tra lentezza e accelerazione impartisce una ritmica imprevedibile, sostenuta da repentine intermittenze di sfondi musicali, dove la corporeità dei personaggi diviene strumento espressivo principale. Apprezzata la scelta di far occupare l’ intero spazio scenico agli attori, arricchendo di profondità e ampiezza la recitazione: alcuni passaggi sono sviluppati prevalentemente ai lati del palcoscenico restituendo contemporaneità rispetto a quanto accadeva nella parte centrale.
Tuttavia, nonostante le efficaci variazioni espositive, permane la sensazione che lo spettacolo sia oltremodo dilatato e disperda nella trama parte della propria vivacità. Si è avvertita quindi la necessità di una certa condensazione atta a non perdere il contatto con l'attenzione del pubblico. All’interno di una messa in scena così attentamente curata e realizzata, inoltre, diventano qualcosa di più di semplici sbavature alcune attività solamente mimate e non realmente agite, come per esempio bere in un bicchiere palesemente vuoto.
Di spessore è stato lo stile recitativo complessivo, in particolare Maurizio Castè nella figura di Hecky Brown restituisce efficacemente il malcelato dramma di un apprezzato uomo di spettacolo, costretto improvvisamente a rinnegarsi e umiliarsi pur di lavorare.. fino a non tollerarsi più. Avallone intercetta e percorre efficacemente quella linea mediana di un Woody Allen impegnativo e inedito che si muove forse per la prima volta, tra dramma e commedia. A tal proposito, efficacemente valorizzato l'esilerante passaggio, ancora più insistito rispetto alla pellicola, in cui Howard si trova alle prese con la macchina da scrivere che non sa far funzionare, a cui si contrappunta quello in cui cerca di risvegliare la coscienza alla ribellione rivolgendosi al produttore con : “ Ne basta uno a dire di no, Phil!”
Il personaggio, fin troppo normale da essere quasi imprevedibile, inebriato dall’ improvvisa notorietà da credersi effettivamente uomo di successo per propri meriti, evidenzierà che anche la mediocrità di chi sceglie di vivere prendendo ciò che arriva senza troppe domande, può avere un proprio riscatto.
Decisamente apprezzabile l’apporto del progetto luci che ha sottolineato il voltaggio emotivo dei passaggi narrativi, trovando rispondenza nell’accuratezza dell’ allestimento scenico da parte di Red Bodò che al cambio scena classico ha preferito una soluzione più dinamica mantenendo costante la “base” con l’aggiunta graduale di elementi scenici.
Spettacolo riuscito e godibile meritevole della copiosa partecipazione del pubblico al limite del sold out.
Simone Marcari
15 aprile 2024
Informazioni
IL PRESTANOME
tratto dall’omonimo film (1976) di Walter Bernstein con la regia di Martin Ritt
Con:
Renato Avallone, Elettra Zeppi,
Maurizio Castè, Roberto Attias,
Stefano Santerini, Giuseppe Renzo,
Flaminia Fegarotti.
Scene e costumi: Red Bodò
Adattamento teatrale e regia: Antonello Avallone