Recensione dello spettacolo ‘Franciscus’, il nuovo spettacolo di Simone Cristicchi, attualmente in tournée, in scena il 3 gennaio a Lignano Sabbiadoro per la stagione dell’Ert ed il 7 a Trieste, in quella del Teatro Rossetti
Si tratta di una proposta quanto mai impegnativa: un’ora e mezza in scena, da solo, cantando e recitando più ruoli, giocando su registri differenti, in una costruzione narrativa complessa e coinvolgente, che il pubblico , nella tappa triestina cui abbiamo assistito, salutata con una oceanica standing ovation finale. Il rodarsi nelle repliche probabilmente porterà qualche minima, ma utile, smussatura al testo, scritto dallo stesso Cristicchi con Simona Orlando. Una manciata di minuti in meno nella parte iniziale avrebbe limato certi didascalismi, certamente opportuni per conoscere l’agiografia del Santo, ma forse non così utili al ritmo narrativo, che nel corso della serata si fa più serrato e magnetico. L’allestimento, di grande piacevolezza, conta sulle funzionali scenografie di Giacomo Andrico e sui costumi di Rossella Zucchi.
Nel lungo monologo sono inserite le canzoni scritte con Amara, di grande suggestione narrativa, giocate su una composizione solo apparentemente semplice, ma ricca di raffinati rimandi, che consentono il dispiego di una tavolozza sonora variegata, mai scontata, capace di momenti di crescente suggestione, partendo già da situazioni di coinvolgimento intenso.
La prova d’attore di Cristicchi è superlativa: interpreta Cencio, è Francesco, tiene le fila quale narratore. Per ognuno dei ruoli trova una voce profondamente differente, giocando con sapienza con il diaframma, scovando sfumature inimmaginabili, arrivando a cantare, da solo, un suggestivo duetto fra il Santo ed il cenciarolo, dimostrando un controllo assoluto dello strumento vocale ed una infallibile padronanza della scena.
L’apertura stupisce, con un Cristicchi dalla criniera leonina, vestito da uomo del Medioevo, che con un carretto va in cerca di stoffe da trasformare in carta pregiata. Un uomo ruvido come la sua voce, dai toni solfurei e dai modi spesso bruschi.
Un figlio del cinismo e della paura della miseria, concreto, realista, capace di vedere solo quello che può toccare. Un gran lavoratore, affidabile, ma per il quale è inconcepibile che un rampollo di una famiglia agiata, per la quale andrà anche a lavorare nel corso delle vicende, possa abbandonare agi e ricchezze in nome di ideali come Fede e Fraternità. Nel primo monologo, nel quale si mescolano idiomi, suoni e figure, c’è anche un brano musicale dai toni volutamente forzati, con una vocalità sapientemente aspra, approssimativa, che rende ancora più preziosa la canzone successiva, eseguita con la voce abituale del cantautore, quanto mai morbida ed accattivante , che apre alle grandi domande sul significato dell’Uomo. Si prosegue così, fra dubbi quotidiani e questioni etiche, fra il racconto della fatica di ogni giorno e la narrazione di chi sembra staccarsi dal mondo per vivere in una dimensione astratta, in uno scontro di visuali fra chi guarda all’altro come ad un potenziale avversario ed al Santo che accoglie tutti, uomini ed animali. Si parla di diversità e pazzia, di accoglienza e voglia di vivere la vita in prima persona, di desiderio di rinascere e di coraggio di verità.
Intenso il racconto della ripartenza, della scelta di abbandonare, con gli abiti, la distanza dagli altri, nel quale parole e versi si alternano, scavati sempre nel significato profondo, recitati cercando un suono che emozioni, che trovi i colori della determinazione, della riflessione profonda, dell’accoglienza, con le pause che ci facciano respirare con il Santo, in un viaggio iniziatico che si apre davanti a noi. Ritorna Cencio, a raccontare lo scandalo della nudità, vergogna per chi ha gli occhi ebbri di peccato, a cui risponde la delicatezza di ‘Francesco dove vai ?’, cantata con tono leggero e raffinata modestia. Le voci si moltiplicano quando il racconto si sposta sul papa, al centro della confusione politica e teologica, in opposizione alla semplicità del Santo, sempre più puro e sempre più ‘matto’.
‘Le Allodole’, arriva come una pausa delicatissima in un racconto che è un crescendo sempre più coinvolgente e sempre più più sbalorditivo per la capacità di giocare con i registri della voce, messa realmente a dura prova da una prova attoriale come è raro incontrare . Argutissimo il gioco di commistioni fra musica di gusto rinascimentale e canti regionali, in un connubio che descrivere meglio di tante parole la voglia di abbracciare il mondo, senza verticalità e senza distinguo.
La vita va avanti. Cencio perde il lavoro, perché è cambiata la situazione generale del mondo e la crisi è profonda. Sia dal punto di vista economico che personale, come bene descrivono i versi di ‘Terra’, ballata amara, ingemmata di rancore e rabbia, cantata con un livore cui si oppone la pulizia del canto di Francesco, che accarezza le note, le culla, per raccontare come ha deciso di lasciare la sua comunità, senza che la cosa lo turbi. Perché altri sono i suoi viaggi, differenti gli obiettivi. Ancora una volta mondi differenti, che però pian piano smettono di essere paralleli.
Cencio finalmente capisce cosa ha spinto quel giovane viziato a cambiare vita. Forse lo capisce veramente nel momento in cui coglie il coraggio con cui abbraccia la Morte. Nell’attimo in cui coglie l’urlo dirompente del ‘Laudato sii mi Signore’, ad annunciare la gioia dell’entrare, nella sua coraggiosa povertà, in Cielo; nel rimanere strabiliato da un rito funebre universale al quale partecipano uomini ed animali, a superare ogni barriera, ogni stereotipo, tanto che anche nel racconto, fortissimo, si mescolano il racconto medioevale di Cencio con i commenti personali di Cristicchi, la narrazione storica con le storie mitologiche.
In conclusione, un canto commovente che ci invita ad avere il coraggio di credere che ‘l’infinito siamo noi’, e lascia le ultime note all’apparizione di un ulivo, in un palcoscenico vuoto di persone ma pieno di ragioni per credere nel coraggio della voglia di Bene.
Uno spettacolo ben costruito, magnificamente interpretato, che il pubblico saluta con una messe di applausi convinti e travolgenti e con una standing ovation che accomuna ogni ordine di posti, gigantesca e meritatissima per un Cristicchi stremato da una straordinariamente convincente prova d’attore.
Gianluca Macovez
15 gennaio 2024
informazioni
FRANCISCUS. IL FOLLE CHE PARLAVA AGLI UCCELLI
di e con Simone Cristicchi
scritto con Simona Orlando
canzoni inedite di Simone Cristicchi e Amara
musiche e sonorizzazioni Tony Canto
scenografia Giacomo Andrico
luci Cesare Agoni
costumi Rossella Zucchi
aiuto regia Ariele Vincenti
produzione Centro Teatrale Bresciano, Accademia Perduta Romagna Teatri
in collaborazione con Corvino Produzioni