Venerdì, 18 Ottobre 2024
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LA QUESTIONE AIDA… A proposito della doppia inaugurazione dell’Arena di Verona

Recensione di ‘Aida di Giuseppe Verdi all’Arena di Verona dal 16 giugno all’8 settembre 2023

 

L’Arena di Verona festeggia la centesima stagione con una  doppia inaugurazione ed una programmazione ricchissima di titoli  e grandi interpreti.

Il 16 giugno la trasmissione in mondovisione di ‘Aida’, il giorno dopo l’apertura riservata al  pubblico tradizionale degli appassionati dell’anfiteatro veronese.

Una operazione mediatica importante, con uno stuolo di vip, molti più famosi  che realmente interessati all’opera, molte polemiche, anche a causa di un infelice volantino con l’invito ad applausi e standing ovation, un  allestimento anticonvenzionale che prometteva, peraltro mantenendo le aspettative, ‘una Aida come non avete mai visto’.

Obiettivo centrato, nel bene e nel male, da parte dell’attivissima sovrintendente Cecilia Gasdia, che in questi anni , al di là di polemiche e schieramenti, ha avuto il grosso merito di riportare in Arena i grandi nomi dell’opera. Anche in questo caso nel bene e nel male. Perché in molti casi si è trattato di ombre pallide dal passato glorioso oppure di arrivi a sorpresa, che più che un personaggio  interpretavano loro stessi.

La pubblicità  che l’evento ha suscitato ha aperto  un dibattito amplissimo, internazionale  ed ha acceso l’attenzione dei media sull’anfiteatro veronese come non accadeva da anni.

La trasmissione televisiva è stata dominata dall’allestimento firmato da Stefano Poda, autore di regia, scene, coreografie e luci.

Amato e detestato, ha entusiasmato pochi  ed indignato i melomani tradizionalisti.

In questi anni sono fioriti gli spettacoli lirici strutturati per la televisione. Quasi iconico, in questo senso, il ‘Macbeth’  scaligero, nel quale la versione teatrale pareva  subordinata a quella catodica. 

Poda  per  Arena 100 realizza un allestimento che invece viene esaltato dalla visione teatrale. La televisione appiattisce lo spettacolo, crea la sensazione di vuoto in scena, nonostante la presenza di quasi 500 persone in palcoscenico.

Smorza gli effetti luminosi, appiattisce il gioco delle sfumature e di fatto banalizza una creazione artistica che dal vivo rivela numerosi motivi di interesse.

Verrebbe da dire che se Poda voleva sottolineare, giustamente, che l’opera va vista in teatro, dal vivo, ha centrato completamente l’obiettivo.

Il regista trentino è internazionalmente noto per allestimenti che di fatto sono opere d’arte, vere installazioni, ricche di simboli, citazioni raffinate, metafore.

Come tutte le opere d’arte può piacere o meno, ma certo non è né scontato, né banale.

Certo è che ne stiamo parlando come di un’opera d’arte a se stante. Non come di una scenografia, non come di un lavoro registico dedicato al titolo di Verdi.

Una rilettura personale ed egoreferenziale, che per essere apprezzata deve essere guardata in questo modo.

Onestamente lo si è fatto senza storcere il naso per le scene antiteatrali di de Chirico, per le sontuose visioni scultoree di Pomodoro e per le sculture sceniche di Fausto Melotti.

Ovvio che chi cerca piramidi ed obelischi resta deluso.

Ma certo la colpa non è di Poda, artista coerente e ben conosciuto da chi l’ha ingaggiato, che ha confezionato uno spettacolo tessuto di metafore e citazioni, che non merita una condanna generica e preventiva anche se è innegabile che secondo i canoni tradizionali lo spettacolo non risponda alle aspettative. 

Ci sono numerose pecche, anche gravi, al di là dell’aspetto visivo.

Manca un convincente lavoro sui personaggi. Lasciano  perplesse le dinamiche sceniche dei singoli . 

Pare che l’interiorizzazione dei personaggi sia aliena agli obiettivi registici.

Questo spettacolo infatti è costruito sulle masse, circa 500 persone in palcoscenico,  sulle scene corali, su un racconto decontestualizzato  ma ricco di spunti.

Sulle geometrie, i riferimenti, le immagini evocative. Sui toni della luce, i rimandi.

La questione rilevante, alla quale ognuno trova la sua risposta, è se  questa sia una lettura adatta all’opera lirica; se sia ciò che il pubblico, quello  dell’Arena  in modo particolare,  si aspetta; se sia il giusto modo di servire interpreti e partitura.

Certamente è più azione metateatrale che teatrale.

Ci sono immagini che non possono non lasciare basiti: difficile capire il senso di una Aida bianca e bionda, trovare una lettura alla stanza di Amneris trasformata in un laboratorio di mummificazione, vedere un duetto finale con gli amanti lontani, che sembrano neanche guardarsi.

Ma anche alcuni momenti straordinariamente suggestivi. La danza dei moretti è una dotta rielaborazione delle danze tribali africane, molto più rigorosa di quanto possa sembrare di primo acchito.

Nella scena del trionfo le ballerine sono vestite di catene, che imprigionano il racconto scritto sui loro corpi. Quasi a narrare una prigionia delle parole, un silenzio che uccide.

Struggente la conclusione di ‘Ritorna vincitor con Aida che sembra  diventare una nuvola che rimane imprigionata nelle maglie di un cielo che si fa plumbeo e la divora.

La sfera, prima lunare lettura di Ftha e poi metafora dell’amore dei due protagonisti, che si solleva lentamente ed illumina la scena, è un elemento di grande suggestione poetica.

Le mani che popolano il palcoscenico, che in televisione risultano stucchevoli e fastidiose, dal vero diventano simbolo efficace, intenso, drammatico, grazie agli effetti luminosi, realmente suggestivi  per tutto lo spettacolo.

La scena del Nilo evoca il fiume attraverso un’imbarcazione, che è gigantesca scultura di corpi e luci, immagine astratta pur nella sua chiara fisicità.

A Poda piacciono le citazioni. Sono tante, tantissime, forse anche troppe. Si rincorrono le scarpe rosse antiviolenza e le incisioni di Blake; i dannati di Beato Angelico ed i gruppi umani del Pontormo; i corpi che sembrano uscire dagli affreschi di Michelangelo ed il gioco dei grigi per i momenti più drammatici, che profumano di Picasso e Guernica.

Magnifici alcuni costumi, palesemente fastidiosi altri.

Gli abiti  con gli specchi sono il vero elemento scenografico dello spettacolo; i geroglifici sui vestiti degli egiziani moltiplicano l’occhio del potere con efficacia.

Ma  gli etiopi in calzamaglia color carne e perizoma nero sono francamente incomprensibili; le sacerdotesse in rosso colorano la scena, ma sembrano appena  uscite di corsa dallo spogliatoio di una sfilata di moda.

Gli abiti per Aida riescono a rendere sensuale e credibile la Netrebko,  ma pesante, goffa, perfino fuori parte la Siri.

Come tolgono ogni aitanza a Radames ed infieriscono con crudele cinismo su Amneris.

Insomma un allestimento complesso, che comunque merita di essere visto in teatro, che è destinato a dividere i pareri e che rende complessa la gestione dello spazio scenico areniano.

Quanto sia prevaricante ed impossibile da ignorare è apparso evidente all’inizio della serata, quando, nel clima da horror vacui che pare caratterizzare  questa centesima stagione, sul palcoscenico è salita la Banda Musicale dell’Aereonautica, chiamata  per celebrare il suo secolo  di esistenza.

Non discutiamo il valore dell’organico musicale, certamente di notevole livello.

Ma vedere i musicisti, allineati nella loro divisa severa, sotto la grande mano rapace della libertà, risulta una immagine agghiacciante,  che diventa ancora più sensazionalmente drammatica quando viene suonato il ‘Va Pensiero’, eseguito ovviamente senza il supporto del coro, quasi a narrare un popolo muto, amara metafora, certamente non voluta, dei nostri contraddittori tempi.

Per fortuna l’esibizione si conclude con un brano accompagnato dal battimani scomposto del pubblico, che fa uscire i pensieri dalle tenebre filosofiche per riportarli alla dimensione, più areniana, del pop festivaliero.

Entrando finalmente nella dimensione musicale, il Maestro Marco Armillato dirige con mano sensibile  l’orchestra della Fondazione Arena di Verona,  offrendo una lettura intima, elegante, che bene supporta la visione di Podda.

Riesce ad evitare forzature e numeri ad effetto, riuscendo  a sublimare alcuni passaggi della partitura e trovando sfumature di grande suggestione, non sempre  del tutto condivise dagli interpreti, che in alcuni momenti sono sovrastati dal volume orchestrale.

Solida la prova del coro, diretto con sicurezza da Roberto Gabbiani.

Ci sono state voci cha hanno convinto, altre che hanno deluso.

Sicuramente convincente il Messaggero di Riccardo Rados. Voce solida, squillante, stentorea, è riuscito ad essere convincente nonostante il costume che tutto poteva far pensare meno che ad un rapido messo di guerra.

Brave anche le interpreti della Sacerdotessa: intonatissima e sicura Francesca Maionchi, in Mondovisione  ed appropriata e musicale Daria Rybak, il giorno dopo, vestite con un impegnativo abito rosso, che evoca le creazioni di Capucci ma che è complesso interpretare nel suo significato.

Nel ruolo di Amonasro si alternano Roman Burdenko (16 giugno)  ed Amartuvshin Enkhbat . Il primo  aveva evidentemente una giornata sbagliata, che ha portato ad una prove del tutto censurabile.

Il secondo è stato un lussuoso capo degli etiopi, credibile scenicamente e sontuoso vocalmente , grazie ad uno strumento ricco di colori, acuti sicuri, volume ampio, magnificamente sotto controllo.

Convincente vocalmente il Ramfis di Michele Pertusi, che mette il suo lungo mestiere, la ricca tavolozza di sfumature, uno strumento vocale solido e senza cedimenti al servizio di un personaggio tutt’altro che secondario.

Nel corso delle repliche si è fatta più convincente la prova di Simon Lin,, che pur corretto non ha  sempre l’autorevolezza vocale  e soprattutto scenica che il ruolo del Re richiederebbe,

Arriviamo alla terna dei protagonisti.. Olesya Petrova era Amneris in entrambe le serate.. 

Poco  credibile scenicamente,  gesticola più che interpretare e la sua principessa ricorda molto di più Santuzza che la figlia di un faraone.  Il mezzosoprano potrebbe vantare un  cospicuo volume vocale  ma dimostra di non riuscire ad amministrarlo.: acuti al limite dell’urlo, suono disomogeneo, genericità espressiva., intonazione non sempre inappuntabile.

Yusif Eyvazov ha  cantato due sere di seguito la parte di Radames. Che è atto eroico da parte sua, anche se la pianificazione del calendario  è quanto mai deprecabile.

Sembra che in Italia non ci siano mezzosoprani e tenori, ma credo che qualunque melomane, se serva, possa fornire una lunga serie di giovani talenti nostrani in grado di reggere la parte con onore.

Anche perché un teatro dovrebbe avere il dovere di promuovere le giovani leve di talento.

Il tenore azero è sorretto da una tecnica sicura,  è generoso negli acuti, ma deve fare i conti con uno strumento decisamente avaro di colori e dal timbro né regale, né sensuale. Non andava meglio con la recitazione, generica e poco centrata, forse anche a causa dei costumi che certo non aiutavano la contestualizzazione.

Arriviamo quindi al ruolo del titolo:Anna Netrebko  è stata Aida in mondovisione, mentre nella replica del giorno dopo ha cantato la parte  Maria José Siri.

La Netrebko ha pastellato il ruolo della  schiava con abilità: un uso  sapiente della voce , con filati magnifici, note pure, una esecuzione magnetica e metafisica di ‘Cieli Azzurri’, la fanno trionfare nella prima compagnia. Molto attenta scenicamente, la sua figura viene esaltata dai costumi di Poda, che invece non producono lo stesso effetto sulla Siri.

Maria José Siri ha mostrato una voce più aspra che in passato, soprattutto nel registro centrale.

 La  resa è stata un po’ disomogenea: ci sono stati momenti di intensità assoluta, come la seconda parte di ‘Ritorrna Vincitor’, nella quale resa musicale e scenica  si completano  plasmando un racconto rarefatto e coinvolgente; ma anche passaggi che si sentono a fatica,  con alcuni acuti aspri, che non sembrano del tutto sotto controllo.

Dal punto di vista scenico, l’interpretazione sembra generica, con movimenti scontati ed atteggiamenti stereotipati.

Forse nel corso delle recite il ruolo verrà meglio assimilato ed inserito nella complessa visione della messa in scena, consentendo al soprano di conseguire il meritato pieno consenso.

Alla fine ampi applausi per tutti, con una incomprensibile ovazione per la Petrova e qualche isolato dissenso per la Siri.

Un successo franco che mantiene vivace il dibattito su questa originale proposta, incerta come scena teatrale, affascinante come installazione artistica.

 

 

Gianluca Macovez

20 giugno 2023

 

informazioni

Verona, Arena, stagione d’opera e balletto 2023

AIDA

Musica di Giuseppe Verdi

Opera  in quattro atti di Antonio Ghislanzoni

Personaggi e interpreti 

Il Re Simon Lim

Amneris Olesya Petrova

Aida Anna Netrebko (16) ,Maria José Siri (17)

Radamès Yusif Eyvazov

Ramfis Michele Pertusi

Amonasro Roman Burdenko (16), Amartuvshin Enkhbat (17)

Un messaggero Riccardo Rados

Una sacerdotessa Francesca Maionchi (16) , Daria Rybak (17)

Direttore Marco Armiliato
Regia, scene, costumi, luci e coreografia Stefano Poda

Maestro del coro: Roberto Gabbiani

Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici della Fondazione Arena di Verona

Verona, 16 e 17 giugno 2023

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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