Venerdì, 22 Novembre 2024
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Parsons Dance: la danza “alla portata di tutti”

Recensione dello spettacolo Parsons Dance in scena al Teatro Brancaccio dal 29 marzo al 2 aprile 2017

70 minuti col fiato sospeso e gli occhi puntati su di loro: gli otto ballerini della compagnia di danza statunitense che deve il nome al fondatore e coreografo David Parsons. Al Teatro Brancaccio di Roma per concludere la tournée italiana, che li ha già visti ballare a Bari, Genova, Firenze, Milano, Venezia, Bologna, Torino (e non solo), Sarah Braverman, Zoey Anderson, Ian Spring, Elena D’Amario, Geena Pacareu, Omar Romàn De Jesùs, Eoghan Dillon e Justus Whitfield hanno incantato, ancora una volta, il pubblico italiano e quello romano nello specifico, che, alla prima del 29 marzo, gli ha riservato applausi e standing ovation.

 

70 minuti per 7 coreografie, tra pezzi di successo e inediti, di pura energia e vitalità per riaccendere il desiderio insito in ognuno di ballare e lasciarsi andare al ritmo vibrante della musica. Perché la danza per Parsons - definito dal New York Times uno dei più grandi coreografi viventi di danza moderna - è diretta, comunicativa, emozione pura, motore di gioia e positività. E i primi a crederci sono loro: gli straordinari ballerini-atleti che, sorridenti, si esibiscono in coreografie dal ritmo sostenuto, manifestando forza, energia e assoluta padronanza del corpo.

Un corpo, il loro, immune alla gravità, sospeso nel vuoto e catturato solo dalla luce, quella disegnata dal lighting designer e cofondatore della compagnia Howell Binkley, che riesce, insieme alla musica, ad accentuare e a dare la giusta risonanza ad ogni movimento, ad ogni forma, ad ogni colore e ancora una volta a loro: i danzatori.

Perché non ci sono fondali mozzafiato a riempire la scena quando è vuota e neppure abiti sgargianti e ricoperti di paillettes che scintillano al buio: lo spettacolo è il trionfo della semplicità e dell’armonia degli elementi. Da Finding the center (2015) a In the end (2005), passando per Union (1993), lo spettatore assiste a coreografie frutto di tecniche e stili differenti in grado di dar vita ad effetti sorprendenti, creativi e anche divertenti, come in Hand Dance (2003): uno dei pezzi cult della compagnia, in cui a ballare al centro del palcoscenico sono, da sole, le mani.

Senza dubbio d’impatto e sempre molto atteso è il leggendario e geniale Caught: la coreografia che Parsons ha disegnato su di sé nel 1982 e che per il tour 2017 è stato eseguito dall’unica italiana della compagnia: Elena D’Amario. Elegante, leggiadra, comunicativa e non a caso prima ballerina della Parsons Dance. Considerata una delle più grandi coreografie degli ultimi tempi (New York Times), l’assolo sulle note di Rober Fripp è uno dei brani che meglio descrive la danza secondo Parsons: insieme di tecnicismo, virtuosismo, forza, luce, forme e corpo.


Concetta Prencipe

3 aprile 2017

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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