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Maria Stuarda: il duello tutto donizzettiano di due regine che incanta il Teatro dell'Opera di Roma

Recensione dello spettacolo Maria Stuarda, in scena al teatro dell'Opera di Roma dal 22 marzo al 4 aprile 2017

Speciale. È questo l’aggettivo che viene in mente a chiunque abbia da poco terminato di assistere a quel grande spettacolo, d’operistica natura, che è stato la Maria Stuarda. Partiamo dagli applausi finali, partiamo dalla partitura, dall’orchestra, dai protagonisti, dall’ambiente tutto, dalla perfetta sincronia tra scenografia e storia narrata, cantata, dipinta e disegnata. Da ovunque si voglia partire, quella di martedì 4 aprile, presso il Teatro dell’Opera di Roma, è stata davvero una serata speciale.

Come speciale è stata anche la performance di due giovani talenti nostrani, tutti made in Italy, of course (per restare in atmosfera britannica): nei ruoli principali cantano infatti Roberta Mantegna (Maria Stuarda) ed Erika Beretti (Elisabetta I), selezionate entrambe per il progetto “Fabbrica” – Young Artist Program, di cui fa parte anche Valentina Varriale, che è stata invece impegnata in questa produzione in tutte le recite, nel ruolo di Anna Kennedy.
Opera raramente rappresentata, la Stuarda. Vuoi per quel testo audace e aspro – nella memoria rimangono le urla e le ingiurie che le due “regine” si lanciano a vicenda in uno dei momenti di massimo phatos - con libretto di Giuseppe Bardari, tratto da Schiller, vuoi per l’ardua vocalità nell’ interpretazione dei vari ruoli. Ma sono proprio questi spunti a renderla talmente pregnante e appassionante da farla sembrare viva. La compenetrazione all’interno della tragedia che si consuma sul palco è massima e i protagonisti sono eccelsi nel trasmettere, con energia vibrante, le emozioni che riecheggiano in ogni aria.

Il phatos, appunto, è talmente manifesto che quasi prende il posto dell’azione assurgendosi a centrale elemento caratteristico di tutta la performance. Il canto che ne deriva, che riempie una sala già di per sé gremita anche per quest’ultima replica, viene esaltato al massimo dagli artisti. Tangibile e vero, esso appare sempre in crescendo andando perfettamente “a braccetto” con la musica. Il sopraffino lavoro del Maestro Paolo Arrivabeni si materializza nel passaggio, dosato e lineare, da toni e note più tetre e drammatiche a momenti più intimi e melanconici, mai patetici o noiosi, che vanno, quasi fossero tasselli imprescindibili del racconto stesso, ad incanalarsi nel filone narrativo, evidenziando come il bilanciamento tra musica e canto sia talmente perfetto da non giungere mai a coprire e sovrastare le voci. Insomma, la musica diventa trascinante compagna all’interno di questo viaggio indietro nel tempo tra le radure e i monti, le carceri e le corti, della Gran Bretagna elisabettiana. 

Altro elemento che fa da perfetta cornice all’opera tutta è la scenografia. Semplice nell’allestimento quanto utile e necessaria a far rendere al massimo questo scontro tutto al femminile tra le due regine. Attraverso l’ambiente, privo di ogni ornamento che possa distrarre, essenziale e netto, prendono vita e si esaltano le due personalità così forti quanto orgogliose e sprezzanti. Ecco quindi che l’idea della prigione fisica dell’una e quella morale dell’altra, vengono rese egregiamente dalla regia di Andrea De Rosa, bravo a portare in scena al Costanzi il nuovo allestimento del Teatro San Carlo di Napoli che vanta una lunga e gloriosa storia. Al tradizionale, apprezzato e fedele allestimento, atto ad elogiare lo scontro drammatico delle due anime messe in scena, va aggiunta l’opera del pregevolissimo cast (Paolo Fanale nel ruolo di Roberto, Carlo Cigni nel ruolo di Talbot, Alessandro Luongo nel ruolo di Lord Guglielmo Cecil), tutto completamente in scena durante il commovente finale, vero e proprio quadro e dipinto vivente di una umana tragedia. Perfetto nei ritmi, perfetto nei tempi e nelle vocalità, teatrale al punto giusto e, soprattutto, al momento giusto (intelligente la scelta del colpo scenografico improvviso proprio nei momenti di maggior enfasi finali).

A conferma e chiusura di quanto fin qui osservato, è da rimarcare e sottolineare la dichiarazione e spiegazione che, in un’intervista, il Maestro Paolo Arrivabeni ha offerto dell’opera e del lavoro attorno ad essa: È un piacere tornare a Roma dopo due anni e soprattutto per un titolo coraggioso perché con la Stuarda è necessario prima pensare al cast e poi all’allestimento. Abbiamo lavorato per rendere vivace e fresca la Stuarda, una magnifica partitura che segna l’inizio e la conferma della vena drammatica di Donizetti. Propone scontri drammatici ed è di grande difficoltà canora e anche la parte del tenore è molto complessa. Anche nella scrittura, pur mantenendo la nota del belcanto, già guarda avanti e con le cabalette anticipa anche Verdi. Si alternano momenti drammatici e di intimità.


Federico Cirillo

5 aprile 2017

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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