Recensione dello spettacolo Zombie in scena al Teatro Olimpico dal 31 marzo al 9 aprile 2017
Quale luogo migliore per rifugiarsi da zombie e morti viventi se non a teatro? E, soprattutto, quale compagnia preferireste avere accanto in un momento così terribile se non quella di Marco Presta e Max Paiella?
Fuori c'è il morbo, l'epidemia. Quest'infezione non risparmia nessuno. Ma, poi, cos'è questo morbo? Chi sono questi zombie? Accompagnati dalla musica del Maestro Attilio di Giovanni, e tra sketch, momenti di riflessione, canzoni, il duo Paiella-Presta prova a spiegarcelo con molta ironia e molto humor.
Forse il politico che tutti credevamo morto e sepolto e, come sempre accade, resuscita dalle sue ceneri come la fenice? Il capo che non risparmia mai nessuno sul luogo di lavoro? Il vicino di pianerottolo che ti dà il tormento h24, oppure il fan che sa tutto – ma proprio tutto – della vita privata del suo vip preferito o questo continuo bombardarci di notizie di gossip che rende ogni cosa molto trash?
Tra modernità e classicismo (e anche qualche momento horror) i nostri due eroi, sempre con l'ausilio del Maestro di Giovanni, mettono in scena delle parodie che riguardano personaggi noti e non, o semplici e (ormai) molto comuni stili di vita. Abbiamo così il figlio omossessuale che decide di fare outing una sera a cena col papà e col nonno (in questa sede avviene di tutto, tranne quello che ci si aspetta davvero che succeda), il fan che riconosce il suo idolo in aereo e che gli racconta molte cose su di lui più di quanto ne sappia il vip facendogli vivere situazioni totalmente imbarazzanti con gli altri passeggeri, Shakespeare che si presenta per un provino alla RAI per metter su qualche fiction tratta dai suoi massimi capolavori come Otello o Romeo&Giulietta ma che viene malamente cacciato perché gli viene preferito Gabriel Garko. Segue un "momento di fratellanza" tra le guerre di religione (e qui scatta la domanda: siamo davvero sicuri che le religioni uniscono e non dividono?) dove si fronteggiano le tesi del cetriolo e quelle della melanzana, l'entrata in scena dell'esorcista per espellere il demonio che si è impossessato del malcapitato di turno e lo costringe a partecipare ai salotti di Barbara D'Urso e, ancora, un altro caso di presa di possesso di un corpo: il totem. Quest'oggetto, in alcune tribù native nordamericane, rappresenta un'entità soprannaturale al quale ci si sente legati e devoti per tutta la vita. Paiella lo impersonifica alla perfezione, col risultato che ne risulta talmente "posseduto" che, prima di tornare ad essere quel che è, deve spurgare fuori quelli che sono gli idoli, gli dei, i personaggi che spesso e volentieri plagiano le nostre menti; assistiamo così alla performance di Jovanotti, Battiato, Ligabue, fino ad arrivare a porci delle domande su cosa sia veramente la felicità.
Il sipario si apre su un palcoscenico ricoperto di stracci, bauli, casse, due inginocchiatoi, un letto sfatto, un tavolino, un pianoforte; tutto intorno reca il sapore dell'abbandono, di qualcosa che c'è stato e ora non c'è più, ed è all'interno di questa scenografia che si inseriscono le gag e il copione di questo allegro show, un modo per passare il tempo in attesa che tutto là fuori torni ad essere come prima.
Uno spettacolo che ha del particolare, leggero, che sa far ridere e riflettere senza ammorbare, mai volgare e ricco di suoni e di poesia (Presta recita dei bellissimi versi del Canzoniere di Petrarca mentre Paiella è in piena forma con la sua verve artistica e musicale), vagheggiamenti e...catastrofi.
Ma, meno male, che c'è appunto la poesia a salvarci.
Costanza Carla Iannacone
6 aprile 2017