Sabato, 23 Novembre 2024
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Il tiepido Mercante di Venezia secondo Paolo Valerio al teatro Quirino

Recensione de Il Mercante di Venezia di William Shakespeare in scena al Teatro Quirino dal 2 al 6 novembre 2022

 

È noto che la trama del Mercante di Venezia non è una creazione originale di Shakespeare, ma si tratta di una rielaborazione di una novella trecentesca di Ser Giovanni Fiorentino, Il Giannetto, prima novella della giornata quarta della raccolta di cinquanta detta Il Pecorone. L’apporto del Bardo, nel contempo, l’ha resa estremamente innovativa inserendo la caratteristica speculazione filosofica sul senso dell’esistenza, delle relazioni umane, e con l’accuratezza, la profondità e la musicalità del linguaggio. Come in tutte le opere dello scrittore inglese, le vicende narrate sono solo una mera occasione per scandagliare tutte le inclinazioni dell’animo umano e per aprire degli interrogativi insoluti, come nel periodo ipotetico espresso da Antonio all’inizio dell’opera: “Se il mondo è un palcoscenico, ciascuno ha una parte da recitare. La mia è una triste”. Antonio è uno dei personaggi cardini dell’opera insieme a Bassanio e Shylock.

Il contraltare femminile è rappresentato da Porzia, Nerissa e Gessica, che sembrano impegnate in vicissitudini a sé stanti rispetto all’impianto narrativo generale e s’intersecano con le vicende principali solo in alcuni passaggi. La distanza tra mondo maschile e femminile è acuita dalla scelta del regista Paolo Valerio di collocare su due piani spaziali differenti i due intrecci paralleli: in alto su un piano più elevato si muovono le ragazze, al piano terra gli uomini. Sullo sfondo, la scenografia è scura, brulla, spoglia, solo mura di mattoni fanno da sfondo agli attori che si muovono in ambienti poco illuminati: la sensazione è di essere calati in una perenne notte. Se ricorriamo al concetto del correlativo oggettivo montaliano, l’ambiente esterno sta esprimendo l’interiorità dei personaggi, riproducendo il buio interno costituito da angoscia, rancore, tristezza, emozioni caratteristiche dei protagonisti. Per contro, i costumi sono curati nel dettaglio e quelli femminili virano su tonalità chiare e delicate, in contrasto con la scenografia. Anche la recitazione del gruppo di donne è più vivace e briosa, donando un guizzo di freschezza e movimento a tutta la pièce. 

Sin dalle prime scene colpisce il rapporto tra Antonio e Bassano, così emotivamente vicini che Antonio non esita ad impegnare i suoi beni e la sua stessa vita intercedendo per lui presso l’usuraio di origine ebrea Shylock con cui intercorre un rapporto di odio e disprezzo reciproco. La critica si è, invece, a lungo interrogata sulla natura della relazione tra Antonio e Bassano, che Shakespeare volutamente mantiene nell’ambiguità. Ci sono dei baci tra loro, ma Bassano è intenzionato a conquistare l’amore della bella Porzia, quindi non sono destinati a diventare una coppia, ma nei momenti cruciali della pièce entrambi sono disposti a mettere l’altro al di sopra di tutto il resto. Piergiorgio Fasolo, nelle vesti di Antonio, pur esprimendo una performance di livello elevato, appare più incerto e tentennante rispetto all’intenzionalità del drammaturgo che lo vuole a tratti dolce, a tratti arrogante. Anche la prestazione di Francesco Migliacci (Bassanio) non è pienamente convincente, in alcuni punti risulta poco aderente al personaggio. Diversamente, Franco Branciaroli (Shylock), regala al pubblico in sala un’interpretazione magistrale, rendendo assolutamente credibile il suo complesso personaggio. Restituisce al pubblico tutta la doppiezza della sua anima, con un’interpretazione tecnicamente perfetta: trasmette tutti i chiaroscuri di un animo tormentato e vendicativo come il suo che prova odio e rancore spietato, ma che simultaneamente pronuncia l’emblematico discorso sulla sua appartenenza al popolo ebreo. Il pathos in sala è palpabile in questo frangente: “Ma un ebreo non ha occhi? Un ebreo non ha mani, organi, misure, sensi, affetti, passioni, non mangia lo stesso cibo, non viene ferito con le stesse armi, non è soggetto agli stessi disastri, non guarisce allo stesso modo, non sente caldo o freddo nelle stesse estati e inverni allo stesso modo di un cristiano? Se ci ferite noi non sanguiniamo? Se ci solleticate, noi non ridiamo? Se ci avvelenate noi non moriamo?”

Nel contempo Shylock si rivela capace delle peggiori bassezze per vendicarsi nei confronti di Antonio che in passato lo aveva sputato e insultato per il suo essere un usuraio ebreo. La posizione antisemita di Shakespeare, tipica della società del tempo in cui vive, tratteggiando un personaggio così sfaccettato, diviene più sfumata e complessa, abbracciando gli opposti della sua personalità.

Sul finale, la protagonista è la giustizia: grazie ad un cavillo usato da Porzia travestita da giudice, Antonio è salvo dalla vendetta di Shylock che pretende una libbra della carne del suo debitore a compenso del prestito ricevuto. Quanto può essere interpretabile, quindi labile la legge, in un senso o in un altro? Quanto gli esseri umani possono trovarsi in balia di norme e giudici in base alle contingenze temporanee? Altro interrogativo lasciato insoluto dall’autore…

 

Mena Zarrelli

6 novembre 2022

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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