Recensione dello spettacolo Toghe Rosso Sangue, andato in scena al Teatro Sala Vignoli l'8 e il 9 aprile 2017
- "Hanno ammazzato un giudice"
- "Non si ammazzano i giudici in Italia"
- "E invece lo hanno ammazzato"
- "Avrà fatto qualcosa di speciale"
Ventinove magistrati, ventisette solo nella Prima Repubblica, in Italia, sono stati assassinati dalla mafia, dalla 'ndrangheta, dal terrorismo nero e da quello rosso.
"Ventinove giudici assassinati dal loro coraggio".
"I giudici sono sbirri e gli sbirri muoiono perché non si fanno gli affari loro".
"Ventinove uomini, perché un giudice è un uomo".
Il primo, Antonino Giannola, ucciso il 26 gennaio del 1960 nel Palazzo di Giustizia di Nicosia, l'ultimo, Fernando Ciampi, il 9 aprile 2015 nel Palazzo di Giustizia di Milano. Con pochissime eccezioni, questi magistrati hanno subito, oltre alla morte per omicidio, l'oblio, un'ulteriore morte nel ricordo del popolo italiano.
Toghe Rosso Sangue nasce dal desiderio e dalla necessità di fare memoria, di riportare alla luce una parte di storia spesso dimenticata.
Tratto dagli scritti di Paride Leporace e diventato spettacolo teatrale con il patrocinio dell'ANM – Associazione Nazionale Magistrati, Toghe Rosso Sangue è una vasta raccolta di documenti di cronaca in forma di racconto.
Strani destini, strani percorsi ricostruiscono pezzi di storia e cronaca italiani fatti di lotte politiche, vendette e omicidi politici.
Così, messi tutti insieme, i fatti raccontati e raccordati con gli altri eventi delittuosi e criminali che hanno contrassegnato gli scontri armati politici e politicizzati dagli anni '60 in poi, hanno un maggiore impatto, entrano dritti nella coscienza e nel cuore e fanno più male.
Toghe Rosso Sangue è un racconto a quattro voci che dà parola alla Storia e ai "grandi" protagonisti di questa storia, alcuni eccelsi altri terribili. Vittime e carnefici trovano voce in questo spettacolo in cui, a fianco dei magistrati uccisi per il fatto di compiere onestamente il proprio lavoro, ci sono i pentiti e la strafottenza indecente dei criminali che scrivono libri e memorie, aprono associazioni e ricevono premi di rilevanza sociale.
La storia di questi giudici attraversa la storia dell'Italia: dagli errori giudiziari verso il singolo cittadino ai processi sommari dei Nuclei Armati Rivoluzionari, dal Padrino di Coppola e Brando alla Magliana di Placido e Scamarcio, dalle micce corte di Prima Linea ai lunghi strascichi di Via D'Amelio, dalla sabbia e dal vento della Calabria alle vendette delle 'ndrine per le vie della grigia Torino, dalle stragi di Stato allo stato di scomparso di Paolo Adinolfi.
Al fianco della vita, del lavoro e della morte di questi giudici e all'intenzione di rinnovarne il ricordo, troviamo una profonda analisi sociale e delle sue più terribili e drammatiche dinamiche di morte, quelle "ragionate" e pianificate dai diversi nemici dello Stato e le ideologie studentesche e politiche senza coscienza, le cui azioni venivano dettate più dalla voglia di commettere un atto delittuoso più grosso di quello fatto dalla compagine politica avversaria che dalla reale e specifica intenzione di punire quella determinata persona.
Nel passaggio dall'estremismo al terrorismo, a muovere le mani degli assassini più che un piano, una strategia, è l'odio e il rancore verso i gruppi oppositori: "per niente si comincia a sparare (...); per caso si comincia ad ammazzare, per caso si continua ad ammazzare".
Il potere di questo testo scritto da Giacomo Carbone è proprio quello di raccontare la storia di questi magistrati raccordandola in maniera snella e fluida con gli avvenimenti socialmente e politicamente più cruenti e significativi di quegli anni, creando uno spettacolo che è narrazione e rappresentazione, ma anche memoria e testimonianza.
La regia di Francesco Marino, snella e fluida, lucida e autentica, è tutta condensata sul messaggio, adottando soluzioni stilistiche affascinanti che restituiscono tutta l'umanità del dramma.
In scena quattro grandi attori, quattro corpi, quattro voci che si moltiplicano divenendo ogni volta qualcun altro attraverso l'assunzione di facce, caratteri, espressioni e dialetti diversi.
Quattro cuori che senza esasperazioni o strumentalizzazioni sensazionalistiche rendono omaggio e giustizia a uomini morti nell'adempimento coraggioso del proprio dovere.
In una scenografia estremamente essenziale, composta da sole quattro sedie, Sebastiano Gavasso, Diego Migeni, Francesco Polizzi ed Emanuela Valiante con enfasi e amore, coinvolgimento e realismo, raccontano una storia di odio e morte, ma anche di sana ostinazione e impegno civile, sociale e politico.
Lo fanno regalando momenti meravigliosi, drammatici, alcuni anche poetici.
Toghe Rosso Sangue è uno spettacolo senza colori e senza partiti che grida silenziosamente la necessità di una giustizia legale ed è un omaggio al senso dello Stato di questi grandi uomini, prima che giudici.
Uno spettacolo di cronaca che va oltre il carattere documentario per diventare racconto ed essere Teatro civile e sociale che comunica un messaggio: ricordare un passato fatto di verità scomode e taciute che attendono di essere portate alla luce e alle quali abbiamo il dovere morale di dare risposte, perché se lo Stato dimentica, l'uomo non deve dimenticare e se è ancora vero che lo Stato è fatto dagli uomini riuniti in una democrazia, uomini che ricordano daranno vita ad uno Stato che non dimentica e non si dimentica dei suoi uomini.
Ci sono uomini che attendono giustizia, come ammonisce il "fantasma" di Paolo Adinolfi, magistrato romano scomparso nel nulla nel 1994 e caduto nell'oblio: per lui niente corpo, niente bara, niente lapide e nessuna targa.
Flaminio Boni
10 aprile 2017
Toghe Rosso Sangue - La vita e la morte dei magistrati italiani assassinati nel nome della giustizia
uno spettacolo di Francesco Marino
scritto da Giacomo Carbone
ispirato da Paride Leporace
con Francesco Polizzi, Emanuela Valiante, Diego Migeni, Sebastiano Gavasso