Recensione dello spettacolo Dall'altra parte del bosco in scena al Teatro Argot Studio dal 31 marzo al 9 aprile 2017
"Era una notte buia e tempestosa"... poco ci manca perché sia il prologo di Dall'altra parte del bosco, adattamento italiano di In a forest dark and deep di Neil LaBute a cura e per la regia di Marcello Cotugno. La vicenda oggetto di questa pièce – che nelle intenzioni vorrebbe essere di un bel giallo inquieto alla Cornell Woolrich con un spruzzatina di rosso morboso alla David Lynch – è presto detta: la bella, provocatoria e volitiva Betty (Chiara Tomarelli) si fa raggiungere dal fratello - il lunatico, cinico e moralista Bobby (Paolo Giovannucci) – in un isolato rifugio di montagna di sua proprietà.
Apparentemente ha bisogno di una mano per impacchettare molti libri e alcuni effetti personali, ma appena i due si incontrano sono immediatamente scintille. In effetti non potrebbero essere più diversi: lei fa la preside, sembra molto sicura di sé e ha una famiglia che l'aspetta a casa. Lui, invece, è divorziato, va avanti facendo lavoretti e odia quasi tutto, specialmente ciò che incarna lo status raggiunto dalla sorella. Sempre in bilico tra ricordi dolorosi, flussi recriminatori, inaspettati slanci emotivi e dichiarazioni inimmaginabili, l'altalena emotiva dei protagonisti è un continuo sali e scendi: ma se un bel gioco dura poco ancor meno potranno conservarsi i segreti che entrambi nascondono.
Dall'altra parte del bosco è una di quelle opere teatrali il cui valore dipende davvero tanto da come la si presenta in scena: la collisione tra i due mondi, quello superficialmente perfetto di Betty e quello disadattante di Bobby, non è certo l'idea più originale del mondo. Nemmeno la sfida familiare tra i sessi rappresentata da un fratello maggiore, il cui apparente disprezzo per la sorella nasconde in realtà un eccessivo affetto, a cui fa da contraltare la tipica crisi cui va incontro una donna che ha usato il proprio aspetto come un'arma e inizia a vivere nel terrore di fare cilecca. Una caratterizzazione esteriormente più ordinaria dei due – come in tante versioni anglofone – avrebbe certamente aiutato nell'immedesimazione da parte dello spettatore. Invece un vestitino rosso e attillato per Betty e un completo da elegantone decaduto per Bobby rendono immediatamente provinciale il tutto, come se non bastassero troppe indecisioni nella recitazione e un paio di scivoloni involontari nell'inflessione dialettale, che in un'ambientazione americana sono fatali. I pur volenterosi Chiara Tomarelli e Paolo Giovannucci non riescono a creare e diffondere la giusta atmosfera ambivalente che si dovrebbe avvertire assistendo allo scontro tra due fratelli, legati loro malgrado da un passato di feroci incomprensioni e dal bruciante desiderio di confessare troppi non detti: si limitano a sbranarsi l'uno con l'altra, meccanicamente parlandosi addosso senza che questo si traduca in una vera sensazione di litigio. La musica proveniente dalla radio d'epoca, che va e viene non sempre pertinentemente a ciò che accade in scena, temporale compreso, alimenta l'impressione di trovarsi di fronte a uno spettacolo che vorrebbe avere un respiro internazionale ma si risolve in un allestimento un po' snob e vagamente manierato, come l'idea di una scena totalmente invasa da pagine di libri. Infine, la perversione, la suspence, l'inquieto aleggiare del sospetto sono vanificati da quei "freeze" degli attori tra una rivelazione e l'altra a suon di musica, che raffreddano l'interesse e quanto di buono. Dall'altra parte del bosco, insomma, c'è solo un gran gelo senza emozioni che scaldino.
Cristian Pandolfino
9 aprile 2017