Recensione dello spettacolo Tartufo di Molière, in scena al Teatro Quirino dal 16 al 21 novembre 2021
Una storia di impostori e creduloni, manipolatori e manipolati, ragione e religione, quella raccontata dalla commedia Tartufo che, oltre a essere un tubero di alta gastronomia, in Francia viene associato a una persona disonesta. Roberto Valerio, che firma adattamento e regia, interpreta Orgone, il capofamiglia, personaggio grottesco poiché la sua ragione è offuscata dalla follia che gli impedisce di capire la natura della personalità di Tartufo, e che ravvisa nella figura di questo factotum, abile a fingere ed a recitare la parte del sant’uomo, la presenza di tutte le virtù umane e religiose. Con lui, Giuseppe Cederna nel ruolo principale e Vanessa Gravina nei panni di Elmira, la moglie che smaschererà l’impostore. Uno degli aspetti più originali consiste nel fatto che il personaggio che dà il nome alla commedia entra in scena solo al terzo atto. Tartufo è un personaggio subdolo, portatore di una religiosità fatta di apparenza e di dogmi, che riesce a manipolare agevolmente Orgone, e sua madre, Madama Pernella ˗ interpretata con maestria da Elisabetta Piccolomini ˗ donna credulona e bigotta, e a far sì che essi si rivolgano contro la loro stessa famiglia e riservino, viceversa, a lui onori e rispetto.
Lo spettatore impara a conoscere Tartufo ben prima della sua apparizione, attraverso le descrizioni e i discorsi degli altri componenti della famiglia, catapultati in una terrazza durante gli anni Sessanta con grandi vetrate. La prima scena, infatti, si apre con i due figli e la matrigna stesi a bivaccare al sole e la nonna, che li rimprovera per i costumi lascivi e lo stile di vita equivoco, mentre osanna Tartufo, un’anima pia, che suo figlio aveva accolto tra loro per riformare le abitudini familiari; infatti, il ritmo e le originalissime trovate sceniche, come un colpo di pistola nonsense sparato dalla nonna, trasformano in chiave moderna ed efficace i meccanismi drammaturgici chiaramente datati, ovviando anche ad alcune lentezze del testo e dei dialoghi, che si notano soprattutto nella parte iniziale. La scena è un esempio del carattere esplosivo della satira di Molière, una satira tagliente del bigottismo e dell’ipocrisia, che parla al pubblico di ogni tempo: questo il senso profondo e vera ragione della scelta di portarlo in scena.
La scenografia è essenziale, nella ricostruzione dell’ambiente della media borghesia: tutto diventa funzionale a mettere in risalto le capacità verbali degli attori, il loro muoversi in scena, l’abito di Elmira, colei che smaschererà Tartufo, molto colorato e vivace, è una interessante coincidenza nell’ottica dello svelamento dell’inganno: è un colore forte, blu cobalto, una passione che arde sotto le vesti apparentemente caste di Tartufo e che di fatto brucerà la sua copertura. Nasce così una commedia amara e divertente nello stesso tempo che vede in particolar modo mettere a nudo i vizi della borghesia, per poter giungere così al juste-milieu, ovvero ad una morale equilibrata in cui l’uomo comune possa ritrovarsi. In scena viene rappresentato molto bene sia il carattere di Tartufo sia il suo modo di comportarsi: fra ciò che dice e ciò che intende dire e fare c’è sempre una piccola sproporzione, un “vuoto” fatto di malizie e di sottintesi: ha chiesto al cielo l’occasione di stare da solo con Elmira, ma non dice perché, professa per lei uno «zelo straordinario», ma non spiega a che cosa sia diretto questo zelo. È il linguaggio del seduttore: ma a rendere i suoi discorsi sconvenienti e immorali è il fatto che quella che sta cercando di sedurre è la moglie del suo ospite. Sarebbe materia da dramma, ma Molière dissemina la scena di dettagli comici che rendono Tartufo quasi simpatico, grazie anche a una compagnia di attori ben amalgamata e complice. Il fustigatore di costumi (altrui) si rivelerà essere un mistificatore, non prima però di aver minato i rapporti e i legami, insinuando più di un dubbio sulla saggezza e la lungimiranza di un padre e marito tradito; seppure nascosto sopra un tetto, con una battuta renderà tutta l’incredulità, l’amarezza, la delusione per l’amicizia tradita. Insomma, la condizione di un uomo il cui mondo pare cadergli addosso.
Il regista, in un attimo, riesce a cambiare l’umore della platea: ed è proprio così, poiché sarà proprio Orgone con tutta la sua famiglia ad essere cacciato di casa da Tartufo, dopo essersi fatto intestato i beni. In effetti Molière, nella prima versione, aveva fatto vincere il furfante e fu solo dopo l’intervento del re Luigi XVI che l’autore aggiunse due atti e modificò il finale. Pertanto, dopo alcuni attimi di smarrimento, un altro potente tuono, riporta la platea (dalla realtà) al gioco. La scena si rifà e dunque ci sarà un doppio finale che non sveliamo. Molière, commediografo francese molto controverso, in un periodo di forti contrasti sociali e politici, sfidò il suo tempo, andando anche contro reiterati divieti di rappresentazione, riuscendo a portare in scena un capolavoro senza tempo.
Alessandra Perrone Fodaro
20 novembre 2021
Informazioni
Teatro Quirino
Tartufo di Molière
traduzione di Cesare Garboli
Con Giuseppe Cederna, Vanessa Gravina, Roberto Valerio
E con Massimo Grigò, Irene Pagano, Elisabetta Piccolomini, Roberta Rosignoli, Luca Tanganelli
Scene Giorgio Gori; costumi Lucia Mariani; luci Emiliano Pona; suono Alessandro Saviozzi
Adattamento e regia: Roberto Valerio
In scena dal 16 al 21 novembre 2021