Recensione dello spettacolo Mettici la mano in scena al Teatro Diana di Napoli dal 22 ottobre al 21 novembre 2021
1943. Napoli vive nell’incubo dei bombardamenti e della devastazione del nazifascismo. In una cantina improvvisata come rifugio antiaereo, dove una statua della Madonna Addolorata sembra voler vegliare su quanti si inginocchiano a lei per trovare conforto, si incrociano nuovamente le vite di due personaggi dopo tanto, troppo tempo: il femminiello Bambinella e il brigadiere Maione. Il caso vuole che l’improbabile coppia di amici si ritrovi proprio quando l’uno ha più bisogno dell’aiuto dell’altro: il brigadiere, infatti, ha condotto in arresto con sé la giovane Melina, rea dell’assassino del marchese di Roccafusca, ma è poco chiaro il movente dell’omicidio. Partendo da congetture e sospetti, si sviluppa un appassionato confronto in cui Bambinella prende le difese della ragazza, mentre Maione continua ad accusarla del crimine più efferato che esista. Eppure, si intuisce subito che non sono i due personaggi a scontrarsi sul palco, quanto l’ideologia della giustizia da una parte e il rapporto dell’uomo con la legge, dall’altra. Ne nasce una sorta di processo di cui il giudice finale sarà proprio la Madonna Addolorata, la cui presenza sul palco appare ora più defilata ora più imponente, quasi a simboleggiare come la fede per l’essere umano non sia costante ma assuma forme diverse a seconda dei momenti della sua vita. Se il fervore religioso non è troppo presente in Maione e nella sua condannata, lo è, invece, in Bambinella: il diverso tra i diversi e ultimo degli ultimi, si rivela colui che più di chiunque altro nutre una viscerale fede nella Madonna e sarà colui che, assumendo il ruolo di intermediario, smuoverà le coscienze dei suoi compagni fino a portarli a inginocchiarsi alla statua. Perché la Madonna ci mette sempre la sua mano nelle vicende umane.
Maurizio De Giovanni ha saputo regalare alla platea del Teatro Diana un racconto inedito, potente e denso di significato, in cui rivive il rapporto di stima e affetto reciproco tra Maione e Bambinella. Questi due personaggi già erano riusciti a ritagliarsi un proprio spazio nella fiction televisiva conquistando una propria fetta di appassionati grazie ai loro irresistibili siparietti, che anche in questo caso sono risultati necessari alla diegesi del racconto. La comicità della pièce si traduce in un riso amaro che induce gli spettatori in sala a una profonda riflessione sulla vita e la morte, la giustizia e il potere, la fede e il libero arbitrio. Si ritrovano un po’ i toni della “Napoli milionaria” di Eduardo ma sempre stemperati da un umorismo che arriva al pubblico più di una battuta ben piazzata, perché la risata è un tonico per ridere degli aspetti più sinistri della vita.
In un mix di dramma e commedia, lo spettacolo risplende anche grazie all’alchimia e alla forte intesa scenica che Antonio Milo e Adriano Falivene hanno saputo instaurare e ricreare come in tv così sul palco: tra loro volano scintille e l’alternanza di ruoli, in cui ora la spalla è Bambinella e ora Maione, rende ancora più autentici e cari al pubblico questi personaggi. È tangibile la volontà dello scrittore di estrapolarli dal contesto ricciardesco e darli in pasto alla platea con tutti i vizi e le virtù ed esplorarli più nel profondo, e ciò è tanto più vero soprattutto per il personaggio di Bambinella, di cui vengono a galla sfumature interiori che si erano solo intuite ma non erano state approfondite nella fiction Rai.
Nella realistica e quanto mai suggestiva cornice scenografica curata da Toni Di Pace in cui il gioco di luci e ombre di Davide Sondelli riflette le sfaccettature dei tre protagonisti, l’interpretazione di Milo e Falivene si impone al pubblico dapprima in modo energico e frizzante, per diventare poi forte e travolgente, e infine sentita e sofferta. I mali dell’umanità sono quelli di cui, in quello scantinato, si fanno carico due figure piccole e umili ma dalle spalle larghe. In questo inusuale rapporto, si è saputa ritagliare il suo spazio Melina, interpretata dalla giovane Elisabetta Mirra, che ha reso giustizia al suo personaggio regalando al pubblico un’emozionante performance carica di pathos, da cui è emersa una rabbiosa denuncia della condizione femminile, tanto da suscitare una reale commozione in sala.
In una sorta di continuità artistica del tutto inedita, a dirigere da dietro le quinte questi attori straordinari è ancora una volta Alessandro D’Alatri: la sua regia, sempre attenta ai personaggi, ne sottolinea parole e stati d’animo con effetti sonori e movimenti scenici che contribuiscono a rendere la narrazione ancora più drammatica e intensa fino alla commovente scena finale che, potente ed evocativa, sembra voler condurre anche il pubblico a riveder le stelle.
Diana Della Mura
20 novembre 2021