Recensione dello spettacolo In nome della madre di Erri De Luca, regia di Gianluca Barbadori, con Galatea Ranzi, in scena il 15 ottobre 2021 al Teatro Di Documenti
Enorme successo di pubblico sta riscuotendo la prima edizione della rassegna Aut Aut Autunno d’autore al Teatro di Documenti. Dopo il precedente appuntamento con Dacia Maraini, le serate dal 15 al 17 ottobre sono state dedicate a Erri De Luca. Venerdì 15, dopo un incontro con Rosario Tronnolone in cui si è discusso della poetica e dell’ispirazione dell’autore, è andato in scena l’adattamento teatrale dell’opera di De Luca In nome della madre. Il testo propone un monologo di Miriàm/Maria che ricostruisce le vicende della nascita di suo figlio Ieshu/Gesù a Bethlem, integralmente dalla prospettiva materna. L’autore tenta di penetrare nel vissuto emotivo di una ragazza di 14 anni che si ritrova incinta dopo l’incontro con una misteriosa presenza che gli annuncia la futura nascita di… Attenendosi alla versione del Talmud e dei Vangeli ufficiali oltre che ai documenti storici romani, Miriàm avrebbe dovuto subire la lapidazione per adulterio, essendo promessa sposa di Iosef/Giuseppe. Ma ispirato anch’egli da una profonda fede e da un amore travolgente nei confronti della sua promessa sposa, le crede e la protegge lei e il bambino da morte sicura.
I due subiranno insulti, offese, attacchi di qualunque tipo, ma il loro amore, estremante tenero e umanissimo nelle sue espressioni di vita quotidiana, li farà sentire ancora più intimi e gli darà la forza di superare le forze avverse. Il bambino nascerà lontano da queste malelingue in terra straniera e Miriàm, istruita dalla madre, partorirà da sola in una stalla assistita da un bue e da un asino. Sono questi i momenti più intensi e commoventi della relazione madre-figlio, forse gli unici in cui si ritroveranno così vicini e uniti.
L’opera di Erri De Luca restituisce pienamente, ai suoi personaggi, una dimensione umana articolata in molteplici sfaccettature emotive, oltrepassando così le immagini stereotipate e appiattite che ci tramanda da secoli la Chiesa ufficiale. Il vissuto di un’adolescente che si sente investita dell’elevato incarico di mettere al mondo la divinità, si traduce nell’emozione di sentire il proprio grembo pieno e di non volerne più assaporare il vuoto, nell’emozione di sentirne i movimenti dentro. Quando il bambino nascerà, Miriàm conoscerà quell’amore incondizionato che solo una madre può provare al cospetto del proprio nascituro, ma nel contempo sarà avvolta dalla disperazione di sapere che il proprio frutto andrà incontro ad un destino fuori dal comune che la spaventa. Intenso ed estremamente toccante, infatti, il momento di preghiera in cui supplica Dio di renderlo un essere qualunque e di farlo stare con lei più tempo possibile. Anche Iosef appare in una versione inedita e più complessa costituita da chiaroscuri. Si tratta di un uomo ferito e inizialmente deluso che solo per amore sceglie consapevolmente di stare con una donna che aspetta un figlio non suo e che decide di non sfiorare fino alla nascita del bambino. Sarà la “Grazia”, intesa in senso laico come il coraggio di ascoltare se stessi e di sapere di essere un’eccezione, che consentirà ad entrambi di rimanere insieme, nonostante tutte le avversità giunte da ogni parte.
La location del Teatro Di Documenti appare il luogo naturale in cui rappresentare le vicende inerenti Miriàm e Ioseph, creando un atmosfera suggestiva, evocativa, a tratti solenni, grazie alla sua particolare collocazione nei sotterranei dalle pareti antiche. Adeguatamente caratterizzato il personaggio di Miriàm la cui espressività del volto di Galatea Ranzi è esaltata da uno sguardo che emana una luce visionaria, rivolgendosi ad un oltre non definito. Qualche criticità è ravvisabile nel tono a tratti monocorde e in un’eccessiva fissità delle movenze che contrastano con la fluidità e la dinamicità del testo. Il corpo ripropone così un’effigie statica evocativa della icone stridendo con il flusso emotivo dirompente, caldo e toccante delle parole.
Mena Zarrelli
18 ottobre 2021