Recensione dello spettacolo Pandora, della compagnia Teatro dei Gordi, in scena al teatro Palladium di Roma il 15 ottobre 2021
Questa la scritta sul cartello della scenografia aperta che il pubblico trova all’ interno di un teatro Palladium quasi colmo il giorno 15 ottobre 2021, andando a vedere lo spettacolo «Pandora», della compagnia “Teatro dei Gordi”, diretta da Riccardo Pippa. Un teatro Palladium pieno al punto da trovarsi impreparato a quest’ affluenza massiccia e a posticipare l’inizio della rappresentazione di quasi quarantacinque minuti, con le successive scuse del teatro stesso che tramite il suo portavoce afferma con una certa commozione di aver rivisto dopo quasi due anni il teatro nuovamente colmo. Lo spettacolo in questione è inserito all’interno della rassegna “Audience Revolution” un esperimento promosso dalla Fondazione Roma Tre Teatro Palladium, realizzato con il sostegno del Mic/Direzione Generale Spettacolo dal vivo, che vede la formazione e la partecipazione del pubblico, che a fine spettacolo si troverà a attivare un dibattito con le compagnie presenti nella rassegna.
“Leave me as you found me” ovvero “Lasciami come mi hai trovato”, questa la frase sul cartello in una scenografia che è un bagno pubblico, con due lavandini, uno specchio, tre orinatoi e due cabine bagno nelle quali durante lo spettacolo si succederanno gli attori della compagnia a mostrare diverse tipologie di “maschere” umane, a volte tragiche, spesso divertenti, a tratti surreali, sempre altamente simboliche. «Pandora» è la chiosa di una trilogia sulla quale la compagnia “Teatri dei Gordi” lavora dalla sua costituzione. Una compagnia giovane, composta da attori formatosi tutti nella Scuola Teatro Paolo Grassi di Milano e diretti da Riccardo Pippa: “un pedagogo, oltre che un regista” come affermerà uno dei sui attori nella discussione con il pubblico di studenti a fine della performance. Ed è proprio il cenno al regista pedagogo che riapre la scena (mai più chiusa in realtà), del teatro che dal novecento in poi diviene dispositivo pedagogico; dove ci si pone finalmente il problema della formazione dell’attore e del ruolo di guida del regista.
E questo spettacolo è una vera e propria “palestra” per l’attore che si trova a lavorare con il corpo, la maschera, la voce (poca in realtà), il suono, lo spazio. Lo spazio scenico in «Pandora» è uno spazio chiuso, un “cesso pubblico”, un luogo di passaggio, o una sorta di “non luogo” come forse direbbe Augé che però gli attori vivono in ogni centimetro, altezza e bassezza. Non c’è uno spigolo non abitato, un oggetto non utilizzato, un piano non percorso. Le maschere che vivono lo spazio, lo aprono, lo chiudono, lo sporcano, lo possiedono; tanto che è lo stesso spazio scenico ad un certo punto a essere il vero protagonista.
Gli attori raccontano che lo spettacolo gli è stato commissionato nel giugno 2019 dalla Biennale Teatro di Venezia 2020, rimandata a causa del lockdown e messo in scena per la prima volta nel settembre 2020. Uno spettacolo elaborato “a distanza” e provato successivamente all’elaborazione; tanto che in molti in questo spazio chiuso hanno visto la reiterazione dei gesti quotidiani dovuti all’interminabile successione dei giorni di chiusura a causa del periodo di pandemia trascorso. Ma nella ripetizione dei gesti si incontrano i personaggi, anime perse che si rifugiano in un luogo che diventa una possibilità per esprimersi, seppure nella più appariscente surrealtà. E allora ci sono gli sposi, i ciclisti, i tangheri, gli amanti, i ladri, i folli, i disperati; tutti attraversati dal libero desiderio di raccontarsi utilizzando al minimo la parola. Seppure lo spettacolo non è silenzioso, affatto.
La parola è suono, è idioma, è lingua straniera, è inventata, è canzone, ma non è quasi mai dialogo. Sono i corpi che parlano tra loro, si raccontano, si spogliano a volte anche di senso, tanto da trasformare anche il nudo, quasi affatto percepito, privato da ogni sentimento, vestito di assoluto nonsense.
Gli attori Claudia Caldarano, Cecilia Campani, Giovanno Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti e Matteo Vitanza, seppur giovanissimi sono dei veri artigiani del teatro, espertissimi nell’utilizzo di ogni mezzo che il corpo mette a loro disposizione. Salgono sui trampoli, strisciano, si verticalizzano, sputano, si contorcono, trasformano la voce in suoni e mostrano con una sorta di devozione all’arte e allo spettatore quanto e cosa si può fare in scena. Poco più di sessanta minuti di vera e propria pratica teatrale.
«Pandora» completa la così definita “trilogia della soglia”: in «Sulla morte senza esagerare», la soglia è lo spazio tra l’aldiquà e l’aldilà, in «Visite», la soglia è tra il presente e il passato; in «Pandora» la soglia è il corpo, che fuoriescono dal “vaso” senza compostezza, o ordine; sciolto e libero di esistere nelle sue mille forme, assoluto e pieno di ciò che è.
“Leave me as you found me”, ovvero “Lasciami come mi hai trovato”, può sembrare quindi una contraddizione, poiché la scritta è posta in un luogo che è continuamente trasformato da chi lo percorre, che non sarà mai lo stesso. Eppure c’è un personaggio, che guarda caso appare in scena all’inizio e alla fine, forse la maschera più anonima che compare sul palco e che apre e chiude lo spettacolo come delle parentesi tonde, dentro le quali si srotolano molteplici altre vite, che proprio perché nelle parentesi potrebbero esistere, o anche no.
“Lasciami come mi hai trovato” quindi, in questo spazio del possibile, dove tutto può essere, dove forse tutto è stato.
Barbara Chiappa
16 ottobre 2021