Recensione dello spettacolo Peng, in scena al Teatro Vascello dal 24 Settembre al 10 Ottobre 2021
Dominik e Vicky sono una coppia borghese, benestante e benpensante. Ostentando un perenne sorriso e una felicità solo dichiarata, si riempiono la bocca di parole belle e corrette: l'apertura, l'ascolto, l'inclusione, l'ambiente. Parole sotto cui coprono la loro vera natura di ingranaggi di un sistema che vende un illusorio benessere, fatto di elettrodomestici efficientissimi e di alimenti biologici. Parole che sono i mattoni di cui è fatto il muro di ipocrisia, dentro cui hanno rinchiuso il mostro. Che un giorno esce fuori con le fattezze di un bambino, Ralph Peng.
Peng si agita già nell'utero, scalpita per uscire e si presenta al mondo gettando sangue sul palcoscenico. Un neonato anomalo: nasce già con i denti. A nulla serve il monito dell’ostetrica. Nella perenne menzogna in cui preferiscono vivere, per i signori Peng, Ralph è soltanto un figlio precoce e particolarmente dotato. Ma non c'è superomismo in lui, il talento per la bellezza, che i genitori perbenisti cercano di inculcargli, gli è negato. Al loro mondo di edulcorata falsità, il figlio contrappone una verità caparbiamente rinnegata oltre ogni evidenza: Peng è semplicemente un mostro, il mostro che era in loro e che vogliono continuare a non riconoscere.
Peng cresce così, irridente e repulsivo come Alex DeLarge, crudele e senza scrupoli come un moderno Riccardo III. Cresce con la sola volontà di spianare ogni ostacolo che si frapponga all'affermazione del suo ego, a cominciare dalla sorella gemella, strangolata nell'utero. E mentre il palcoscenico si sporca di ogni cosa, fino a coprirsi di merda, Peng dissemina le sue vittime. Che hanno una caratteristica comune: essere donne. Tutto il suo percorso, tutta la sua orribile ascesa fino alla inevitabile carriera politica, è segnato da azioni volte ad umiliare le donne: la baby-sitter, colpevole solo di essere bella, ridotta alla stregua di un animale da compagnia; la vicina di casa, vittima delle violenze dal marito, irrisa e coperta di sterco; fino alla madre stessa, reificata in un improbabile, incestuoso oggetto sessuale da show televisivo. La donna che mette in guardia sul dramma che sta per verificarsi, rimane, novella Cassandra, inascoltata; ed anche quando trova un epilogo per questa rappresentazione, esce sconfitta. Perché questa è una storia che non si chiude mai: un nuovo Peng, in un altro teatro, da qualche parte del mondo, è pronto a rinascere.
L’autore affronta questi temi con il registro di umorismo disturbante, più nero che mai, costruendo situazioni grottesche, che solo apparentemente appaiono paradossali, ma che, ad una lucida analisi, rispecchiano fedelmente una drammatica attualità. E così il disagio che Von Mayenburg ambisce a generare (“il teatro dovrebbe essere un luogo in cui non sentirsi al sicuro”, afferma), insorge da quello stesso riso che egli stesso suscita, nel momento in cui lo spettatore, fermatosi a pensare, ne prova vergogna, riconoscendo in quella deformazione della bocca lo stesso ghigno di Peng. Ridendo, cade anche il nostro di velo: il mostro è anche in noi.
Si può pensare che il tema portante della pièce di Marius Von Mayenburg sia la volontà di potenza e che la misoginia sia solo una sua espressione. Ritengo più corretto credere ad un processo contrario: che la violenza sulla donna sia invece la sorgente da cui scaturiscono i cosiddetti uomini forti, per i quali sopprimere l’altro sesso è l’unica via per emergere. In definita per Von Mayenburg la donna, portatrice di vita, è ineluttabilmente la vittima sacrificale di un sistema che antepone il trionfo dell’ego ad ogni altro valore.
La regia di Giacomo Bisordi aggiunge un ulteriore elemento, che risulta estremamente funzionale alla narrazione ed efficace per il dinamismo della rappresentazione, mostrando la vita di Peng come un ininterrotto Truman Show. Tutta l'immondizia che si deposita sul palcoscenico trova così la collocazione più congeniale nel contenitore televisivo. Va dato merito inoltre al regista per non aver utilizzato, pur contestualizzando l'azione in Italia, riferimenti diretti a personaggi cui correrebbe immediatamente il pensiero, evitando di far scadere il discorso universale di Marius Von Mayenburg in una pur non banale polemica politica.
Ne esce fuori uno spettacolo rutilante, dal crescendo inarrestabile, dove alle situazioni raccontate dalla trama, come se già non bastassero, si aggiungono efficaci trovate sceniche e guizzi interpretativi, in un gioco pirotecnico che sbalestra lo spettatore, diviso fra l’istantaneo divertimento e il perdurante disturbo.
Il protagonista, Fausto Cabra è destinato dalla parte ad essere mattatore. Lo fa calandosi in Peng in ogni sua cellula, fino, letteralmente, alla punta dei piedi. Ma la sua strabordanza da applausi, fatta di espressività esasperata e virtuosismi vocali, non può oscurare la presenza degli altri interpreti, sia per la loro bravura che per la funzione determinante che tutti i personaggi hanno nella narrazione. Se l'orrore destato da Peng non è inferiore al disgusto che si prova per i genitori, è per la prova attoriale di Gianluigi Fogacci e da Sara Borsarelli, i quali disegnano i loro personaggi, l'uno con l’utilizzo di un mellifluo registro umoristico, l'altra con una recitazione frenetica ed uterina; entrambi però pronti a volgersi alla descrizione più cruda della turpitudine. Giuseppe Sartori, il conduttore televisivo, diventa il perfetto contraltare di Peng. Il suo efficientismo lucido e infinitamente cinico è solo l'altra faccia della medaglia della viscerale e animalesca crudeltà del protagonista. Francesco Giordano si pone a completo servizio del racconto, calandosi versatile ed infaticabile nei ruoli più disparati. Anna Chiara Colombo, che interpreta tutte le vittime di Peng, raccoglie infine l'affetto del pubblico, avocando a sé, con dolorosa rassegnazione, ogni abuso, che il testo le riserva e che i compagni di scena non le negano, ma soprattutto dando voce, nel monologo finale, al più profondo messaggio dell’autore.
Un’ultima, personale, nota di plauso vuole essere riservata alla direzione artistica del Teatro Vascello (Manuela Kustermann peraltro dà un suo contributo in video alla pièce), per aver dato spazio anche quest’anno, nel suo cartellone, a nuove drammaturgie. Usciti, si spera, da un lungo periodo di fermo, che non solo ha fatto temere per il futuro del teatro, ma che ha lasciato spazio anche a discussioni sulla sua attualità, proporre copioni innovativi come quello di Marius Von Mayenburg è la risposta più convincente. Un testo come «Peng» non avrebbe potuto essere trasposto, non avrebbe la stessa dirompente efficacia se non a teatro; e non è solo una questione di contatto fisico con il pubblico, ma di linguaggio. Il teatro c’è, si rinnova, è insostituibile. Grazie al Teatro Vascello e a Marius Von Mayenburg per avercelo ricordato.
Valter Chiappa
26 settembre 2021