Recensione dello spettacolo Isabel Green in scena la Teatro Brancaccino dal 16 al 19 gennaio 2020
La vittoria dell’Oscar è il massimo successo che un’attrice può raggiungere nel corso della sua carriera, l’ambito traguardo di una vita…ma forse questo è solo ciò che pensa la molteplicità delle persone e non vale per tutti. Sicuramente non è il caso di Isabel Green che si trova sul palco del Dolby Theater a ringraziare per la statuetta d’oro a cui aspirava da sempre, la rivalsa di un passato da emigrante messicana diventata attrice di grido a Los Angeles. L’apparente felicità delle parole nasconde un profondo e radicato malessere interiore che crea una dissonanza, una dissociazione tra un’interiorità tormentata e sofferente e un’esteriorità di discorsi qualunquisti, banali, ipocriti. Il tentativo di Isabel di tenere sotto controllo questo conflitto sfocerà in un cortocircuito in cui il malessere prevarrà creando situazioni tragicomiche. Nel discorso di ringraziamento Isabel ripercorrerà la sua vita, analizzerà le sue ansie, le sue sofferenze come conseguenza di un diktat della perfezione fisica e psichica che la stritolerà senza via d’uscita.
Emanuele Aldovrandi ha dato vita ad un testo dal sapore universale che, decontestualizzato, potrebbe esprimere il malessere di un’intera società. L’imperativo della perfezione estetica ingabbia l’essere umano in uno stereotipo da raggiungere in nome del quale deve sottoporsi a sacrifici e investire energie immani che lo depauperano interiormente. Un’impeccabile immagine sociale, il successo ad ogni costo anestetizzano gli affetti, rendendo incapaci di amare anche il proprio figlio, come accade per Isabel. La solitudine diventa la protagonista assoluta della propria vita che genera nevrosi, ossessioni, malesseri.
Cresce in modo direttamente proporzionale il ricorso agli psicofarmaci che diventano la soluzione per ogni disagio. Ma come ribadisce Isabel ricorrendo alla metafora dell’automobile, il disagio equivale alla spia di un’automobile che segnala un guasto e la pastiglia equivale a tagliare il filo a cui è collegata, prima o poi a furia di tagliare fili, l'auto non funziona più e il motore si rompe. Il testo ci lascia intravedere una soluzione sul finale, in un’Isabel bambina, che la riporta alla vitalità, alla sua autenticità. La bravissima Maria Pilar Pérez Aspa ha interpretato il suo personaggio in un monologo di un’ora circa, rendendo perfettamente le sfumature tragicomiche del suo personaggio, muovendosi in modo disinvolto tra un registro drammatico e ironico. La regia di Serena Sinigaglia confeziona un buon prodotto finale, aggiungendo dei dettagli che mettono in risalto l’interiorità del personaggio. La scenografia costituita da figure geometriche che richiamano una stella, ma anche una certa spigolosità [metafora della sofferenza del personaggio], quindi la sofferenza del personaggio, ben si sposano con il disegno luci che rievoca le asperità della scenografia, alternando chiaro scuri che riverberano il mondo interiore dell’attrice.
Anche in quest’occasione, all’interno della rassegna: Lo Spazio del racconto, il Brancaccino non smentisce lo spessore e la qualità delle sue proposte che, nel panorama teatrale e culturale romano, costituiscono si traducono in piéce di valore risultando una valida alternativa al richiamo di proposte più blasonate.
Mena Zarrelli
20 gennaio 2020
informazioni
MARIA PILAR PÉREZ ASPA
in
ISABEL GREEN
di Emanuele Aldrovandi
Regia di SERENA SINIGAGLIA
Produzione di Atir Teatro Ringhiera