Recensione dello spettacolo Sei, di Spiro Scimone. Adattamento dei “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello. Con Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale, Giulia Weber, Bruno Ricci, Francesco Natoli, Mariasilvia Greco, Michelangelo Zanghi, Miriam Russo, Zoe Pernici. Regia di Francesco Sframeli. In scena al Teatro Vascello dal 3 dicembre 2019 all’8 dicembre 2019
La realtà è come appare agli occhi di chi la contempla, a sua volta reduce da storie personali e aspettative che concorrono a modellare l’esterno in una personale e soggettiva verità, come siamo unici e irripetibili noi...esseri umani. Siamo noi, infatti, ad accendere alcuni aspetti di ciò che appare, trasformandoli in struttura portante, mettendone in ombra altri, quelli meno tollerabili. Chi siamo, se non illusione? Quella di pensarci sempre uguali ed immutabili, quando in realtà siamo diversi da ieri e dal domani, assumendo diverse sembianze, quante gli occhi di chi ci osserva, assecondando le richieste del palcoscenico della vita.
“Sei” è la condensazione del pensiero pirandelliano de “Sei personaggi in cerca d’autore” e quindi il racconto dell’impossibilità di cogliere la verità oggettiva, anche quella nascosta dietro le pieghe della semplice comunicazione verbale, che risentirà della soggettività di colui che formula il messaggio e di quella del ricevente. “Sei”, come il numero dei personaggi, accomunati da diversi legami di parentela e custodi di un proprio dramma relazionale che coinvolge alcuni di loro: tale dramma è imperniato attorno alla scena madre caratterizzata dallo sfiorato approccio sessuale del padre, vittima delle proprie debolezze di uomo, con la figliastra. “Sei” come la seconda persona singolare del verbo essere che sembra ricordare, quasi ammonire, ciascuno di noi di essere tante persone e non possedere un’ identità univoca e ufficiale.
Il bisogno dei personaggi di cercare un autore teatrale che li sappia vedere e riconoscere nella loro identità, comprendendo la densità delle loro storie, diviene metafora della necessità dell’uomo di voler vivere rappresentando se stesso e il proprio dramma. Egli, rimanendo solo personaggio, resterebbe immobile ed immodificabile, sfuggendo al tempo e alla molteplicità del giudizio altrui, morendo così nell’invisibilità. Per tale motivo i personaggi chiedono al regista di poter rappresentare la loro storia che non necessita di copioni da scrivere, perché la stessa realtà del dramma umano oltrepassa ogni finzione teatrale. Nel raccontare le loro vicende, i “sei” chiedono implicitamente anche di essere perdonati e sottratti al giudizio di una verità assoluta: sarebbe un errore ridurre l’essenza umana ad un aspetto univico ed invariabile. Ognuno di noi, infatti, davanti agli altri assume le impeccabili sembianze delle sue tante maschere, nascondendo l’inconfessabile nei meandri più nascosti della coscienza. Nella finzione scenica, lo stile recitativo con cui gli attori della compagnia teatrale vivono il dramma dei sei personaggi, interpretandolo diversamente da come questi lo avevano vissuto, diviene ulteriore simbolo della soggettività della realtà e di come questa sia composta da una moltitudine di verità.
Interessante e riuscito l’intervento drammaturgico da parte di Spiro Scimone nel personalizzare la scrittura pirandelliana, preservandone l’essenza e la riconoscibilità. In particolare, attraverso inserti inediti presenti in prevalenza nelle battute iniziali e centrali, il drammaturgo e attore riesce a snellire con tinte comiche alcuni passaggi della stesura originale, diversificando con nuovi accenti la stessa. Decisamente apprezzabile, da un punto di vista squisitamente registico, l’idea di Francesco Sframeli di differenziare fisicamente i “personaggi” dagli attori, predisponendo ciascun gruppo ai lati opposti della scena, quasi a voler ben separare l’indefinito dal già compiuto. Evidente l’intervento sulla personalità dei personaggi in scena, ognuno reso unico dalla specificità della propria identità, che contribuisce a restituire spessore all’interpretazione generale. Ben caratterizzata e credibile la prova attoriale di Sframeli nel ruolo del “padre”, della schiera dei personaggi.
L’eloquio prevalentemente monocorde, intervallato da pause e sostenuto da una postura fiera e rigida, ben rimanda ad un uomo provato dal proprio dramma, ma al contempo saggio e conoscitore della vita e dell’uomo. Sarà proprio a questo personaggio, che si rende visibile per la statura delle sue parole, non necessitanti di essere gridate, che Pirandello sembra affidare il nucleo del proprio pensiero. A tale sobrietà ponderata si contrappunta l’esuberanza, a volte scomposta, del regista della compagnia teatrale (Spiro Scimone) ben distante dal cogliere l’essenza dell’umana esistenza. Il disegno luci e l’allestimento scenografico ben interagiscono tra loro, impreziosendo ulteriormente la parola ed offrendo il giusto sfondo al “verbo corporeo”. I costumi di ottima fattura, le cui stoffe eleganti e colorate vengono esaltate ed impreziosite dalle carezze del taglio luce, sono di fatto abiti “attuali” e non d’epoca e rappresentano forse l’unica forzatura nella personalizzazione dell’opera pirandelliana. La buona affluenza di pubblico e l’entusiasmo dello stesso, decretano la riuscita di uno spettacolo di indubbia qualità.
Simone Marcari
9 dicembre 2019
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