Recensione dello spettacolo Judith – Una separazione dal corpo, in scena al Teatro Belli dal 25 al 26 Novembre 2019 nell’ambito della rassegna «Trend – Nuove frontiere della scena britannica» XVIII edizione.
Notte prima della battaglia. Oloferne (Giuseppe Sartori), l’invincibile generale assiro veglia e medita di morte. Una Serva (Aurora Cimino) conduce al suo cospetto una donna bellissima: Giuditta (Federica Rosellini). La serva offre vino, poi il corpo della giovane; ma Oloferne è astemio e sembra disdegnare i piaceri della carne. Non è la storia biblica. La Judith di Howard Barker si muove su territori oscuri come la notte di Betulia, una notte spaventosamente lunga dove il tempo si ferma per dar spazio all’elucubrazione.
La seduzione di Giuditta non si basa sul semplice desiderio carnale, ma soprattutto non è univoca. I due protagonisti si circuiscono dapprima sospettosi; Giuditta esita a denudarsi, Oloferne ostenta sprezzante distacco. È sul territorio della crudeltà che i due si incontrano, su un campo nero, che la Morte ha falciato. In quello spazio sospeso, dinamiche inattese trovano il loro percorso e il coinvolgimento erotico avviluppa le sue spire, camminando a braccetto con la Nera Signora. Combattimento prima del combattimento: “È stata una battaglia amare”. È la voce della Serva (che Barker definisce l’Ideologa) a riportare Giuditta nella Storia, inducendola a compiere il gesto fatale. La pragmatica necessità della ragione di stato separa i corpi dall’anima. “Il male è nella testa”: e il desiderio sessuale di Giuditta irrompe libero solo dopo che il capo di Oloferne è spiccato dal busto.
Le riflessioni di Howard Barker, che toccano tematiche a lui congeniali, sono complesse, contorte e affondano nel mare oscuro dell’inconscio. Massimo Di Michele vi si immerge con una analisi minuziosa dell’opera, che giunge allo spettatore tradotta in un lavoro di regia estremamente curato. Di Michele traduce il testo in rappresentazione, avvalendosi di tutti gli strumenti tecnici a sua disposizione: ipnotici movimenti coreutici sullo straniante commento musicale di Stefano Libertini Protopapa; luci, disegnate da Emanuele Lepore, che cercano un effetto pittorico e che, talora, assumono una vera e propria funzione narrativa; la precisa e particolareggiata scrittura gestuale di Francesca Zaccaria, che chiama gli attori ad uno sfiancante lavoro sul corpo. Non di meno la stessa performance attoriale appare inderogabilmente plasmata dalle mani del regista. Giuseppe Sartori, corroborato dalla imponente prestanza, conserva una rigida impostazione, mentre scava nei registri bassi della voce. Federica Rosellini si produce in una recitazione nervosa ed uterina.
Massimo Di Michele riversa anche sul pubblico la sua intransigente esigenza, richiedendo un particolare sforzo di attenzione per comprendere le raffinate metafore della sua rappresentazione. Ma è un impegno dovuto all’opera di Howard Barker. E graditissimo a chi ama il teatro.
Valter Chiappa
29 Novembre 2019