Giovedì, 21 Novembre 2024
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Vecchi Tempi di Harold Pinter, un viaggio nel passato, nell’attualità e nel presente

Recensione dello spettacolo OLD TIMES – Vecchi Tempi in scena al Teatro Dei Conciatori dal 2 al 14 maggio 2017

"A volte ci si ricorda di cose anche se non sono mai accadute. Io ricordo cose che magari non sono mai accadute, ma proprio perché le ricordo diventano reali." (Anna, in una scena di Old Times).
In Vecchi Tempi di Harold Pinter, protagonisti della scena sono i ricordi, anzi, sarebbe meglio dire il passato. L'atteggiamento del drammaturgo britannico nei riguardi delle proprie opere è sempre un misto di diffidenza e di curiosità. Diffidenza nei riguardi della parola che si traduce in mezzo di difesa per alcuni e di offesa per altri, curiosità per quel tanto di inatteso e di insospettato che nasce da una banale conversazione, e che ha come risultato uno stravolgimento emotivo, esistenziale, cruciale.


Una coppia benestante sposata da venti anni, Kate (Christine Reinhold) e Deeley (Marco Bellocchio) riceve la visita di una vecchia amica della prima, Anna (Lisa Vampa). Siamo in Inghilterra, negli anni '70, in una isolata fattoria sul mare adibita a residenza di campagna. Kate non vede Anna da vent'anni, non ricorda neanche più quale è il suo aspetto. Prima del suo arrivo ne parla col marito che, incuriosito, cerca di capire che tipo di persona possa essere, se sposata, se bionda, magra o grassa. Quando la conversazione comincia ad avere il suo corso, il pubblico viene subito proiettato nel turbinio di ricordi in cui si scopre che Anna è la donna con cui Kate ha conosciuto l'effervescente Londra degli anni Cinquanta e con cui condivideva un appartamento. Anna è stata probabilmente l'unica amica di Kate e un tempo forse ne ha posseduto il cuore. E presto le parole diventano artiglieria di una battaglia per i tre protagonisti.
Deeley, affascinato dalle due donne, dapprima cerca di trovare il proprio spazio insinuandosi nei discorsi, canticchiando vecchi motivi cercando la complicità di Anna, mentre quest'ultima mescola le carte in gioco per ottenere l'attenzione di Kate e tenerla ancorata alla sua immagine del passato. In seguito la sua curiosità si trasforma in timore arrivando a vedere Anna come una minaccia per il suo matrimonio. Di fronte alle due donne sprofondate nella rievocazione del passato, Deeley sputa in faccia ad Anna un disgusto che non trova altra origine se non nella paura. Chi alla fine soccombe, non è dato saperlo.
Maestro della parola e del non detto, con questo testo Harold Pinter porta in scena un'opera molto forte e ambigua. Dei tre protagonisti il pubblico non sa chi mente e chi dice la verità, non sa neanche se quel che vede o accade è reale o immaginato. Pinter mette in scena l'essenziale e l'essenza del dialogo viene poi restituita alle scene in maniera del tutto spontanea. Sul palco non v'è nulla che risalta all'occhio di chi assiste (e in questo il regista Michael Rodgers è stato molto attento a rimanere fedele all'opera): due divani, una poltrona, un carrello con vassoio dove sono appoggiati una teiera, tre tazze, tre bicchieri e una bottiglia di brandy. Il necessario. Anche se all'occorrenza nulla accade, nulla è falso, infingardo o superfluo. Non servono ornamenti, scene o battute ad effetto per far succedere quel che deve succedere, Pinter fa accadere tutto attraverso la parola; quasi sempre l'azione si svolge in una stanza o in un salotto all'interno di una casa, apparentemente tranquilli e rassicuranti, le minacce giungono sempre da fuori, contaminandola e insinuandosi attraverso fessure invisibili. Il malessere si rivela così tramite i personaggi, che spesso hanno un'altra vita e molteplici personalità.
Lo stesso ruolo rivestito da Lisa Vampa è un ruolo molto fluido, liquido, denso, che sfugge all'obiettivo e stenta nel lasciarsi inquadrare: è una donna che suscita rancore, fastidio, paura, persino pericolo. Ottima e azzeccatissima la scelta di Rodgers nel farle vestire i panni di Anna. Stessa cosa per la Reinhold: quest'aria fragile, da bimba innocente quasi a sembrare la vittima di questo gioco perverso dove l'autore si diverte a giocare coi personaggi come se fossero pedine degli scacchi. E poi c'è Marco Bellocchio che interpreta un personaggio teso tra il passionale e il traballante, convinto di avere una personalità volitiva, solida e temeraria, che si sente forte e padrone di un'esistenza equilibrata ma, in realtà, impossibilitato a raggiungere un simile stato, tant'è che, alla fine, si rivela essere un uomo che cede all'incomprensione e piange.
In Vecchi Tempi, testo molto complesso come in gran parte tutte le opere di Pinter, nessuno dei personaggi ha una memoria oggettiva del passato: ciò che ciascuno di essi ricorda è molto personale e soggettivo. Niente, o quasi, coincide. Sono quindi Kate, Deeley e Anna ad esser gravemente smemorati, malati o disturbati nel ricordo oppure è il tempo che è in sé bugiardo e inaffidabile? Oppure è la nevrosi dell'uomo contemporaneo che è incapace di esprimere una qualsivoglia certezza?

 

Costanza Carla Iannacone
4 maggio 2017

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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