Recensione dello spettacolo Il Mercante di Venezia in scena al Teatro Ghione dal 7 al 17 novembre 2019
Io considero il mondo per quello che è: un palcoscenico dove ognuno deve recitare la sua parte.
(William Shakespeare, Il Mercante di Venezia)
E' un palco più piccolo paragonato al mondo, ma per questo non meno importante, quello che accoglie Il Mercante di Venezia di William Shakespaere, in scena al Ghione fino al 17 novembre.
All'aprirsi del sipario, un ponte sullo sfondo riporta subito alla mente il luogo in cui è ambientata la storia: Venezia. Il giovane squattrinato Bassanio, perdutamente innamorato di Porzia, chiede un aiuto economico all'amico Antonio, mercante veneziano. Questi, non potendogli dare il denaro da offrire alla bella Porzia per chiederla in sposa, si offre di fare da garante presso l'ebreo Shylock, noto a Venezia per essere un avido usuraio.
Shylock, da sempre ostile verso Antonio e tutti i cristiani, accetta e impone come penale 100 libbre della carne di Antonio qualora quest'ultimo non riesca a pagare il suo debito. Bassanio conquista l'amore di Porzia mentre Antonio perde tutto ciò che aveva investito. Anche all'ebreo Shylock le cose non vanno meglio: la figlia Jessica è fuggita con il cristiano Lorenzo portando con sé soldi e un prezioso scrigno.
Non potendo riavere i soldi prestati, l'ebreo pretende la sua penale: le 100 libbre della carne di Antonio.
Ma, come accade in tutte le commedie, tutto volge al bene sul finale. L'unico sconfitto è Shylock costretto alla peggiore delle pene per un ebreo: convertirsi al cristianesimo.
La commedia di Shakeaspere diretta da Giancarlo Marinelli si mostra più snella rispetto alle versioni a cui siamo abituati. Tuttavia, vengono mantenuti i temi del Bardo: il conflitto generazionale, lo sfiorire della bellezza, la giovinezza che deve fare i conti con i cambiamenti del tempo e della società.
Complessivamente, lo spettacolo è alleggerito con la scelta di accennare soltanto alcuni aspetti rispetto all'originale. Della storia d'amore tra Bassanio e Porzia si riducono a due le scene dei pretendenti. Allo stesso modo è ridotta la storia dell'anello che Porzia dona al suo amato. Viene soltanto accennata l'amore profondo tra Antonio e Bassanio, che forse avrebbe meritato un po' più di spazio.
Una regia dunque lineare dove i punti nevralgici della narrazione vengono sottolineati da brani musicali, ritmando i momenti di particolare pathos durante lo spettacolo.
Ritmo e movimento ripresi e resi al meglio dagli stessi interpreti. Tra tutti spicca la magistrale interpretazione di Mariano Rigillo nei panni di Shylock, indossati in precedenza dal grande Giorgio Albertazzi. Il suo Shylock è più umano e riesce in alcuni momenti a suscitare empatia negli spettatori.
Il rischio di un paragone con l'interpretazione di Albertazzi risulta immediato. Eppure, Rigillo riesce a reggere il confronto in modo magistrale, proprio di un grande interprete.
Incanta la dolcezza di Romina Mondello nei panni di Porzia. Mentre, calamita l'attenzione l'interpretazione dei giovani attori quali Francesco Maccarinelli (Bassenzio), Francesca Valtorta (Jessica), Mauro Recanati (Lorenzo) e Simone Ciampi (Graziano). Ruben Rigillo perfettamente credibile nel ruolo di Antonio.
Punti di alta comicità si raggiungono con Cristina Chinaglia nel ruolo di Job. Con la sua interpretazione in dialetto veneto, riesce a rendere perfettamente i tempi comici e a scaturire non poche risate da parte degli spettatori. Ugualmente, Antonio Rampino nei panni del Doge riesce a suscitare ilarità nel pubblico.
La sensazione che si ha all'uscita dal Ghione è di aver visto uno spettacolo piacevole, sicuramente di grande livello, in cui molto probabilmente si è voluto rendere omaggio al grande interprete Giorgio Albertazzi.
Carmen De Sena
8 novembre 2019