Recensione dello spettacolo teatrale Alle cinque da me, di Pierre Chesnot. Con Gaia De Laurentis e Ugo Dighero. Regia di Stefano Artissunch. In scena al Teatro Golden dal 15 Ottobre 2019 al 3 Novembre 2019
Siamo debitori, in qualche modo, anche delle apparenti storie d’amore che finiscono, o semplicemente...mai iniziate perchè morte sul nascere; sono proprio queste infatti ad averci permesso di cercare ancora per trovare la nostra anima gemella. Ed è proprio grazie a quegli incontri goffi e imbarazzanti, frutto di appuntamenti precipitosi, che Jean-Carl e Charlotte oggi sono sposi. Come hanno fatto, per tutto questo tempo a non accorgersi l’uno dell’altra pur essendo condomini dello stesso edificio! E chissà quante volte si sono salutati con noncuranza, oppure incontrati sul pianerottolo ad aspettare l’ascensore seccati dalla presenza dell’altro. Un impervio percorso individuale accomuna i due prima di divenire coppia.
Veloci illusioni e repentine disillusioni hanno infatti avuto luogo nelle rispettive abitazioni ospitanti la fiamma di turno, scopertasi nel giro di pochi istanti troppo differente da come appariva nei sogni ad occhi aperti, o semplicemente, troppo normale. Il loro incontro avviene nella loro maturità più piena, dove l’ossessivo sogno di maternità di lei trova il suo apice nel desiderio di lui di condividere finalmente la propria vita, troppo spesso giocata in solitaria. Come quando, tra divertimento e brivido, si ricorda un pericolo scampato, quando ormai si è al sicuro, la nostra coppia ripercorre i passaggi delle relazioni precedenti quasi voler impreziosire il proprio presente. Ma come spesso accade, si tende a parlare degli altri per non parlare di noi. Per tale motivo, nella descrizione degli improbabili partner precedenti, si intravede, da parte dei due protagonisti, una non meno comica e tragica urgenza di interrompere la propria solitudine e il prevedibile flusso della propria vita. La singolarità delle persone conosciute la sera prima racconta di come il desiderio di compagnia sia superiore al valore della persona stessa, e come la solitudine sia un’ombra difficile da dissipare. Purchè ci permettano di illuderci sembrano implicitamenre affermare Jean- Carl e Charlotte al cospetto dei loro incontri occasionali.
La pièce è improntata efficacemente sulla scelta del flashback come principale fonte rappresentativa, arricchita da venature di metateatro: Charlotte e Jean-Carl, sposi da pochi istanti, si rivolgono al pubblico divenuto interlocutore attivo, raccontando le rispettive cinque esperienze precedenti il loro incontro. Ugo Dighero e Gaia De Laurentis, oltre ai partner della coppia, incarnano i rispettivi tragici personaggi maschili e femminili con cui i due hanno per brevi istanti interagito prima di accompagnarli, più o meno educatamente, alla porta. Ben caratterizzati dal regista Stefano Artissunch le diverse tipologie umane, a cui i due attori danno efficacemente vita, accomunate da tratti nevrotici credibili che sfuggono ai due protagonisti: questi, alla reale conoscenza dell’interlocutore, hanno anteposto l’ossessiva urgenza di provare un brivido nuovo.
Tutti i personaggi mancano di vedere l’altro, attorcigliati attorno alle proprie manie ed abitudini. Memorabile, a tal proposito, l’operatore delle pompe funebri che parla solo del proprio lavoro e che Charlotte invita a casa senza conoscerne la professione; oppure il maestro di sci, che sembrava un principe azzurro sulla neve ma in abiti borghesi si rivela grezzo, noioso e viscido; e che dire di quella donna affascinante conosciuta la sera prima che Jean-Carl invita a casa alle cinque di pomeriggio, incapace di godersi gli istanti dell’intimità perchè preda delle sue ossessioni? Gradevole e di livello la recitazione dei due attori mattatori, il dinamismo corporeo dei quali ha velocizzato e arricchito la brillante drammaturgia di Pierre Chesnot, arginando quel rischio di ridondante e di prevedibile a tratti sfiorato. I camerini a cielo aperto integrati nella scenografia hanno restituito ulteriore continuità ritmica alla pièce. Ben mantenuta la nota recitativa all’interno di un gioco di rimpalli a due in cui il rischio di un calo di energia è fisiologicamente concreto. Sviluppato su due livelli, l’impianto scenico di Matteo Soltanto è caratterizzato da intelaiature in legno a forma geometrica atte a simboleggiare i diversi ambienti della casa e il relativo arredamento. La vivace colorazione di tale scenografia, unita all’armonioso dialogo della stessa con le luci di Giorgio Morgese, imprimono all’arredamento scenografico una connotazione sensoriale, contribuendo a resituire ulteriore brillantezza alla recitazione. Il commento musicale della Banda Osiris rifinisce elegantemente la pièce arricchendola di ulteriore colore.
Buona affluenza di un pubblico divertito per una commedia ben strutturata, priva di particolari spunti riflessivi, che non vuole andare oltre l’immediatezza della risata.
Simone Marcari
25 ottobre 2019