Recensione dello spettacolo Ragazzi di vita in scena al Teatro Argentina dal 15 al 27 ottobre 2019
Debutto di stagione col botto per il Teatro Argentina che ha visto il pubblico nuovamente affascinato dalla pièce tratta dal romanzo di Pier Paolo Pasolini. Già presentato in occasione dei quarant’anni dalla morte dell’autore, lo spettacolo è diventato un vero e proprio caso teatrale perché ha saputo riproporre le atmosfere e il lirismo del testo pasoliniano grazie al grande lavoro di adattamento operato da Emanuele Trevi e all’ottima regia di Popolizio, che si conferma ancora una volta un ‘direttore dei lavori’ esemplare.
Portare nuovamente in scena un testo così impegnativo non è facile, in questo caso, però, non importa quante siano state le repliche contate finora, perché questa pièce ancora una volta è riuscita ad affascinare e spiazzare gli spettatori.
Fin da subito, infatti, il pubblico viene proiettato nella Roma descritta e vissuta da Pasolini e riesce a cogliere lo spirito del romanzo e l’anima della città eterna così com’era in quegli anni in cui l’Italia intera cercava di riprendersi dallo shock della guerra.
Ecco, quindi, che attraverso un ricercato lavoro di recitazione combinato alle canzoni più note dell’epoca e a una scenografia essenziale, si riesce a vivere e a toccare con mano quella fugacità e quell’evanescenza caratteristiche della vita di strada condotta dai protagonisti, scugnizzi romani che portano avanti con difficoltà le proprie dinamiche personali. Le voci e i volti protagonisti nel romanzo così come sul palco rappresentano quel sottoproletariato urbano che costituiva il vero cuore di Roma, con tutte le contraddizioni tipiche di chi vive in quell’isolamento culturale che porta a salvare un animale in difficoltà anziché un proprio simile. Si racconta di un mondo diverso, un mondo altro da quello che si incontra nei quartieri del centro di Roma: i protagonisti di queste storie vivono il centro come se fosse la periferia, percependolo come molto remoto e quasi inaccessibile, un posto non adatto a loro e a cui non sentono di appartenere perché la periferia è il loro centro vitale.
La trama a episodi permette al pubblico di farsi un’idea di quella che poteva essere, e che ancora è, la vita di questi ragazzi di strada che, ironicamente, non permette loro di socializzare davvero e relazionarsi con il prossimo: anche se si muovono in gruppi, ogni personaggio rappresenta un mondo a sè, solo e isolato nella periferia della città eterna. Vivendo in una dimensione approssimativa, è inteso che la scenografia non debba essere percepita dallo spettatore, per cui le scene di Marco Rossi diventano minimal e poco accoglienti, a significare quanto la città stessa si mostri ostile verso i suoi abitanti.
A descrivere strade, quartieri, palazzi e il cielo di Roma è la voce narrante di Lino Guanciale che qui impersona l’autore stesso, che si aggira sul palco un po’ come uno ‘spiritello’ diventando uno spettatore eccezionale e imparziale di tutte le vicende narrate, innamorato solo della città eterna. Sono proprio le immagini rievocate da Guanciale a suscitare le emozioni più grandi provocando una sorta di nostalgia per quello che è stato e per quello che ancora resta oggi della Roma dell’epoca, che sembra per molti versi così simile alla Roma odierna.
Difficile sicuramente è stato rendere la spazialità e la complessità dell’agglomerato urbano romano sul palco e forse difficile per parte del pubblico si è rivelato seguire il narratore nel suo viaggio immaginario attraverso la città: nel romanzo il collegamento tra i vari quartieri risulta decisamente più chiaro da seguire mentre diventa più difficile sul palco. Anche la scelta degli episodi proposti è significativa di una volontà da parte del regista di mettere in scena un filone principale sacrificando forse alcuni particolari che avrebbero potuto aiutare a conoscere maggiormente la storia dei protagonisti: dello stesso Riccetto, per esempio, non si cita l’episodio in cui la madre perde la vita sotto al crollo della scuola elementare occupata dagli sfollati. Forse proprio perché la trasposizione risulta già di per sè molto ruvida, per l’asprezza e la durezza dei temi trattati, si è scelto di ammorbidire un po’ anche l’aspetto più violento della vita dei personaggi che nel romanzo sono protagonisti di furti, rapine ed episodi di bullismo, nonchè di momenti fortemente tragici.
Particolarmente apprezzati sono stati gli intermezzi musicali alla fine di ogni episodio, il cui scopo è stato quello di riportare il pubblico con la mente a quel tempo ormai andato, cercando di definirlo meglio attraverso gli idoli del momento come Claudio Villa, il Reuccio, le cui canzoni erano note anche al popolino analfabeta. Il vero plauso va al regista che ha saputo dirigere i suoi personaggi in maniera eccezionale: sia nel canto che nella recitazione tutti gli attori hanno dato prova di grande talento riuscendo a restituire con genuinità tutta la romanità del romanzo anche attraverso l’uso del dialetto che caratterizza il testo pasoliniano e in questo senso un vero colpo di genio è costituito dalla parte dedicata al ‘Glossario’ dei termini romaneschi.
Lo spettacolo si rivela così nuovamente vincitore delle simpatie e dei sentimenti del pubblico in sala tanto che lo spettatore, invaso dalla nostalgia, non può fare a meno di intonare qualche nota insieme agli attori.
Diana Della Mura
19 ottobre 2019
informazioni
Ragazzi di vita
di Pier Paolo Pasolini
drammaturgia Emanuele Trevi
regia Massimo Popolizio
con Lino Guanciale e Sonia Barbadoro,
Giampiero Cicciò Verdiana Costanzo,
Roberta Crivelli, Flavio Francucci, Francesco Giordano Lorenzo Grilli, Michele Lisi
Pietro Masotti/Laurence Mazzoni
Paolo Minnielli, Alberto Onofrietti, Lorenzo Parrotto, Silvia Pernarella Elena Polic Greco,
Francesco Santagada, Stefano Scialanga, Josafat Vagni, Andrea Volpetti
foto di Achille Lepera
orari spettacolo
prima ore 21.00
martedì e venerdì ore 21.00 mercoledì e sabato ore 19.00 giovedì e domenica ore 17.00 lunedì riposo durata 1 ora e 45'