Recensione dello spettacolo Gente di facili costumi, di Nino Manfredi e Nino Marino. Con Paola Tiziana Cruciani e Pietro Longhi. Regia di Silvio Giordani. In scena al Teatro Roma dal 15 ottobre 2019 al 27 ottobre 2019
A volte le storie personali si incontrano tra loro, e nell’ apparenza della diversità si riconoscono come parti di un’anima comune e della stessa solitudine. Succede, a volte, che un destino benevolo soffia una brezza favorevole su due vite invisibili a se stesse e agli altri, incoraggiandone l’incontro.
È una persona esasperata e sola quella che in piena notte busserà all’inquilina del piano di sopra, pretendendo con ogni mezzo di farle abbassare il volume della radio dalla quale escono dolci note ad un volume assolutamente intollerabile. Lui, Armando, professore all’ Accademia di Belle Arti, è costretto ora a scrivere scadenti film di sesso e violenza per il cinema, allo scopo di compiacere, per una manciata di lire, il produttore Gargiulo, uomo mediocre dalla scarsa moralità.
Armando sembra così smarrire la sua identità, sempre più compromessa e confusa tra ciò che egli si sente di essere e ciò che è costretto ad essere. Il proprio isolamento lo porta a tollerare sempre meno l’esterno, da cui sembra aver perso il contatto, e ad affezionarsi quasi nevroticamente alle sue manie. Alla sua apparente rigidità si contrappunta l’esuberanza disorganizzata dell’inquilina, prostituta di professione, che con una musica a volume assordante, sembra quasi festeggiare il suo ritorno a casa, come per cancellare le notti...come per ritrovarsi. Poco importa se quella musica disturberà qualcuno, o forse tutti: quando si è soli si perde il senso dell’altro. L’incontro tra i due assume inevitabilmente i tratti di uno scontro dai risvolti decisamente comici, dove a contrapporsi non sono le persone ma le loro apparenze e ruoli: striderà inizialmente il confronto tra l’intellettuale e la prostituta dall’eloquio sgrammaticato e dalla precaria cultura. Ma il tempo della distanza lascia il posto al tempo dell’incontro quando ognuno ritroverà se stesso nell’altro. Lo stesso fato benevolo, forse anch’esso piacevolmente divertito, mischierà le carte alla ragione soffiando il vento dell’ imprevedibilità sulla scenario in divenire: causa un allagamento del suo appartamento, provocato dalla sbadataggine della stessa prostituta, l’intellettuale sarà costretto ad essere ospite a casa di lei per diversi giorni. Non ci sarà incontro fisico, ma un incontro tra solitudini che, abbandonando le loro maschere, si riconosceranno nella loro comune provenienza. Lui potrà concedersi di dismettere la rigidità del suo ruolo, lasciandosi guidare dalla diversità dell’altro, mentre lei potrà reimparare la tenerezza di certi gesti troppo spesso repressi e rinnegati.
Un nucleo narrativo denso, assai contemporaneo dal retrogusto aspro, ben mimetizzato da un involucro decisamente comico, caratterizza la drammaturgia firmata Nino Manfredi e Nino Marino risalente alla seconda metà degli anni ‘80. Forse non sempre per colpa nostra, ma siamo tutti colpevoli di esser di facili costumi, all’interno di un contesto sociale per sopravvivere al quale bisogna mutare pelle al bisogno, accettare compromessi sbilanciati ed anestetizzare noi stessi. In questa giostra di giochi di ruolo, a rimanere autentiche sono proprio le donne dai facili costumi, dichiaratamente loro stesse. Ed è a loro, quelle a cui “nessuno vorrebbe assomigliare...siamo tutte così tristi...altro che donnine allegre” che Manfredi e Marino restituiscono spessore introspettivo contattandone l’emozione silenziosa. La nostra donna è infatti un animo puro, porta con dignità il suo mestiere, è amante dei film d’amore, desiderosa di comprare una giostra da Luna Park perchè le ricorda la sua infanzia, e le piace vedere la gente contenta.
La regia di Silvio Giordani valorizza la scrittura originale attraverso un accurato lavoro sui personaggi. Questi vengono caratterizzati da una fisionomia ben definita atta a rendere credibile la loro iniziale incompatibilità, per poi esaltare successivamente la spontaneità del loro avvicinamento, quando decadono i ruoli e parlano le persone. Apprezzabile l’ attenzione ad una certa gestualità che accompagna alcuni passaggi relazionali, rintracciabili ad esempio con la cura con cui la donna adibisce a letto il divano sul quale dormirà Armando. A volte sono i corpi e non le parole a raccontare la storia personale dei personaggi. La donna, nei suoi gesti di prendersi cura racconta il bisogno di esprimere quell’ affettività che i suoi clienti non avrebbe mai apprezzato nè richiesto.
Spontanea è apparsa la recitazione che, sostenuta dalla complicità e sintonia dei due attori, ha arricchito di credibilità la performance. Paola Tiziana Cruciani, con fluida naturalezza, ha colto e restituito la doppia anima del suo personaggio, mantenendo costante quel velo di malinconia sottostante la travolgente comicità. Pietro Longhi è risultato convincente nel trasmettere l’evoluzione relazionale del suo Armando, inizialmente austero e diffidente, quasi per far prevalere la differenza di estrazione sociale, per poi sorprendersi a proprio agio nella semplicità. Ben equilibrata ma forse eccessivamente dilatata, è apparsa la drammaturgia che non ha permesso il mantenimento dello stesso ritmo recitativo per tutta la durata della pièce. La scrittura, infatti, sembra aver mostrato nei passaggi finali alcuni rallentanamenti strutturali, non sempre compensati dalle soluzioni comiche, alcune delle quali poco originali.
Non solamente sfondo della vicenda ma a tratti co-protagonista, la scenografia elegante ed accurata ritrae l’interno dell’appartamento della donna, con una porta-finestra dai cui vetri si scorge, sotto un cielo cobalto, il terrazzo dell’appartamento stesso e il palazzo di fronte. Gradevoli e credibili i costumi che hanno contribuito a rendere attendibile l’ ambientazione originaria.
Nutrita affluenza di pubblico che, con divertimento e partecipazione, ha apprezzato la buona fattura della commedia, come gli applausi a scena aperta hanno sin da subito testimoniato.
Simone Marcari
17 ottobre 2019