Recensione dello spettacolo La dolce guerra, andato in scena al Teatro Biblioteca Quarticciolo il 12 e 13 Ottobre 2019
Gli Italiani erano indifferenti alla Grande Guerra. Barlumi di benessere nell’aria effervescente di una Belle Époque nostrana infondevano ottimismo. La nuova Arte meravigliosa, il Cinema, faceva sognare. Altro che slanci patriottici: al di là dei solenni proclami del Vate D’Annunzio, la Guerra fu decisa, come sempre, al di sopra delle teste del popolo. Ne beneficiò la nascente industria, che in quegli anni, con le commissioni belliche, vide moltiplicarsi i suoi fatturati. Con buona pace degli operai delle fabbriche, all’uopo necessari ed esentati dal servizio. A diventare carne da cannone andarono i contadini, per conquistare pochi brandelli di terra di cui non conoscevano nemmeno l’esistenza.
In questo contesto storico, narrato al pubblico in apertura di spettacolo con un testo in proiezione, si colloca la vicenda di Ada ed Olmo. Lei è una morigerata maestrina cresciuta in orfanotrofio, tanto pudica quanto determinata nell’affermare i suoi principi. Lui, rampollo di una sterminata famiglia operaia, coltiva i suoi sogni in quel giardino dorato, che è l’industria cinematografica. Si incontrano, si amano, si sposano. Ma la Guerra separerà i loro destini. Ada, che precorre le future istanze femministe, pagherà l’affermazione delle sue idee. Olmo, partito per il fronte come cineoperatore, comprenderà tragicamente, nel fango delle trincee, che la guerra non è un film.
Elena Ferrari e Mariano Arenella, protagonisti sul palcoscenico ma anche autori del testo, tratteggiano in punta di penna una storia che, per delicatezza di tocco, ricchezza del tessuto narrativo, spessore drammatico, intensità di sentimento potrebbe apparire come un tragico feuilleton di altri tempi. Lo stesso allestimento, con la scena filtrata da un velario, l’utilizzo di proiezioni in bianco e nero realizzate dagli stessi artisti nello stile dei muti del tempo, l’accorto uso delle luci, la cura nei costumi, sembra costruito per determinare la sensazione di straniamento per il trasporto in un’epoca che, come una memoria depositata e non rimossa, resta sul substrato della nostra coscienza storica.
Una narrazione ben condotta che, con nitore di scrittura, scolpisce una serie di personaggi, principali o di contorno, i quali, nel loro insieme ricreano un quadro rispondente di un’Italia ormai remota, ma in cui affondano le radici della nostra società attuale. La preponderanza del testo caratterizza comunque in maniera determinante La dolce guerra, che essenzialmente viene offerta al pubblico come una narrazione recitata. Se, da una parte, lo spettatore ne viene comunque avvinto, tale impostazione drammaturgica limita le potenzialità dell’espressione teatrale. Gli attori sanno ben compensare e in particolare Elena Ferrari, favorita dalla coloritura passionale del suo personaggio, riesce a toccare con una interpretazione carica di dolente intensità.
La dolce guerra è uno spettacolo a cui è stato bello assistere. La ricostruzione, essenziale ma precisa, di eventi storici, inquadrati da un punto di vista non istituzionale; la denuncia, garbata ma ferma, degli orrori della guerra e del cinismo della politica; e, soprattutto, un incontro con sentimenti non nuovi, ma che appaiono remoti per la loro profondità. Un viaggio edificante fra profumi antichi che ridestano la memoria e, come si diceva un tempo, fanno bene al cuore.
Valter Chiappa
16 Ottobre 2019