Recensione dello spettacolo teatrale Parlami d’amore, di Philippe Claudel. Con Nathalie Caldonazzo e Francesco Branchetti. Regia di Francesco Branchetti. In scena al Teatro degli Audaci dal 10 ottobre 2019 al 20 ottobre 2019
Una coppia esausta. Ognuno vive in solitudine il malessere del proprio rapporto senza mai incontrare l’altro. I due partner vorrebbero forse confrontarsi ma sono privi di strumenti relazionali con i quali raggiungersi. Agiscono quindi le loro frustrazioni nell’unico modo che conoscono, rinfacciandosi con aggressività tutto ciò che dell’altro hanno silenziosamente sopportato per anni. Il loro stile comunicativo, il cui emblema è l’accusa, appare rivolto unicamente verso l’esterno: non c’è traccia introspettiva..nè assunzione di responsabilità...nè pause. La colpa è sempre altrui. La priorità è rispondere velocemente all’accusa dell’avversario con un colpo ancora più forte, sperando che vada a segno, che ferisca, che mortifichi.
Entrambi sono figli e vittime dei miraggi del nostro tempo che crea illusioni e falsi ideali, che spinge ad una vita che non contempla l’altro se non come sostenitore del proprio individualismo, dei propri progetti... sempre più solitari. Lui, ricco contabile, si rifugia nel denaro per colmare i suoi vuoti e, da questo inebriato, si salva dal guardarsi dentro ed abbracciare l’esterno. Anche il suo eloquio, per quanto costantemente infervorato, sembra dissociato e superficiale, tipico di chi, per non sentire troppo, si anestetizza emotivamente: egli urla parole senza corposità, che non toccano nè raggiungono. Lei invece si allontana dal rapporto di coppia rifuggiandosi nelle facili tendenze della moda new age: frivola come il marito, solo apparentemente più centrata, ma anch’ella terribilmente sola. Parole che girano a vuoto, prive di intenzionalità di contatto: i toni seguono un andamento in crescendo all’interno del quale vengono rinfacciate tematiche provenienti da lontano, per troppo tempo sottaciute e mai espresse, come l’accusa di tradimento, il modo di educare i figli, lo squallore della prima notte di nozze, non risparmiando di chiamare in causa anche gli altrui genitori. “Perchè continuiamo a stare insieme ?” E’la domanda inaspettata rivolta dal marito, che arriva in un momento ben preciso, al culmine della discussione, quando gli argomenti sembrano essere finiti e lasciano il posto ad azioni sgrammaticate e giudizi personali che segnano il passaggio dal tu hai fatto al tu sei.
Il marito rende per la prima volta esplicito ciò che intimamente ognuno dei due si era già chiesto, ma solo verbalizzando la domanda egli può renderla relazionale, coinvolgendo autenticamente l’altro nella risposta. Quest’ultima non arriverà mai esplicitamente ma si potrà cogliere nel processo relazionale sottostante l’immediatamente visibile. I due partner potranno riconoscersi come coppia all’interno di un noi nel momento esatto in cui, scevri da sovrastrutture, si daranno il permesso di contattare la semplicità della propria essenza, fiduciosi che l’altro la sappia accogliere.
Parlami d’amore non è solo il titolo della pièce ma assume i contorni di un’esortazione a contattare noi stessi e l’altro attraverso la co-risonanza di sentimenti comuni, troppo spesso rinnegati, confusi e disconnessi in favore di falsi miti.
La raffinata e corposa drammaturgia di Philippe Claudel è caratterizzata dall’implicito e dalla metafora, sottostanti ad un’apparente semplicità del testo ritraente una intensa litigata di una coppia in crisi. Il nucleo di tale scrittura non è rintracciabile nella parola, bensì nel retrogusto del verbo parlato. I due personaggi, contrariamente all’apparenza, non provano odio o acuto risentimento reciproco: semplicemente si sono scoperti primitivi nella relazione e poco abituati ad affidare al partner le loro emozioni. Affidarsi, infatti, è un gesto di coraggio che ci obbliga ad abbandonare le nostre difese con la fiducia di essere sostenuti. E’ questo un concetto che, in una società che premia altre prerogative, i due protagonisti hanno disconnesso e forse rinnegato, a tal punto da sorprendersi analfabeti relazionali. La discussione violenta rappresenta una forma di contatto, l’unica conosciuta, per due individui che cercano di raggiungersi; ciò che sembrava l’ultimo atto di una relazione contiene, invece, i pradroni di una rinascita di coppia. In alcuni passaggi, tuttavia, il testo è apparso eccessivamente ridondante e, privo di sbocchi intermedi, ha rischiato la prevedibilità, costringendo gli attori a modularsi su un unico registro interpretativo.
Francesco Branchetti nella veste di regista intercetta efficacemente il nucleo narrativo della vicenda. Significativa, a tal proposito, la scelta di caratterizzare escludendo il linguaggio verbale la parte iniziale della pièce, dominata da silenzi e sguardi che raccontano un disagio non più reprimibile: il pubblico diviene testimone degli ultimi istanti che precedono l’esondazione emotiva. Particolarmente apprezzata è la connotazione caratteriale che lo stesso regista e attore restituisce ai due partner, creando tratti di personalità ben definiti e credibili. All’impulsività del marito, interpretato dallo stesso Branchetti, che si serve di una facile e costante ironia per attaccare la moglie (Nathalie Caldonazzo), si contrappone il freddo distacco emotivo di quest’ultima, il cui linguaggio risuona più asciutto e mirato. Efficace l’espressività corporea da parte dei due attori che ha contribuito a imprimere dinamismo ad una trama che ha rischiato, a volte, di essere eco di se stessa. Riuscita la performance di Nathalie Caldonazzo nel comunicare in maniera credibile le spigolosità e l’asetticità di una moglie “moderna”. Caratterizzato da colori acuti il personaggio maschile di Branchetti che l’attore incarna con una interpretazione sopra le righe, quasi a sottolinearne la capricciosa immaturità. L’accurata scenografia di Alessandra Ricci, rappresentante l’interno di un appartamento parigino, ha offerto il giusto sfondo e sostegno alla “parola parlata e corporea”. Il disegno luci, caratterizzato da un’alternanza di luminosità brillante che rincorre un’intima penombra, si armonizza con la drammaturgia di cui sembra commentare i diversi risvolti dell’ emotività sottostante.
Gli applausi del pubblico hanno promosso la proposta di Branchetti, nonostante la densità del materiale, non immediatamente intellegibile, abbia lasciato alcune perplessità iniziali.
Simone Marcari
14 ottobre 2019