Recensione di Raffaello, di Vittorio Sgarbi in scena al Teatro Olimpico dal 9 al 13 ottobre 2019
Quanto largo e benigno si dimostri talora il Cielo collocando, anzi per
meglio dire riponendo et accumulando in una persona sola le infinite
ricchezze delle ampie grazie o tesori suoi e tutti que' rari doni che fra
lungo spazio di tempo suol compartire a molti individui, chiaramente
poté vedersi nel non meno eccellente che grazioso Rafael Sanzio da Ur-
bino; il quale, con tutta quella modestia e bontà che sogliono usar coloro
che hanno una certa umanità di natura gentile, piena d'ornamento e
digraziata affabilità, la quale in tutte le cose sempre si mostra onorata-
mente, spiegando i predetti doni con qualunche condizione di persone et
in qualsivoglia maniera di cose, per unico od almeno molto raro univer-
salmente si fe' conoscere. Di costui fece dono la natura a noi (….)
Per il che sicurissimamente può dirsi che i possessori delle dote di Rafaello
non sono uomini semplicemente, ma dèi mortali; e che quegli che coi ricordi della
fama lassano quaggiù fra noi per le opere loro onorato nome, possono ancora sperare
in cielo guiderdone delle loro fatiche, come si vede che in terra fu riconosciuta la
virtù, et ora e sempre sarà onoratissima la memoria del graziosissimo Rafaello.
Giorgio Vasari, Le vite
È questo il ritratto che Giorgio Vasari ci ha lasciato del sublime genio rinascimentale con cui prende il via “la lectio magistralis” di Vittorio Sgarbi che dopo Michelangelo e Leonardo, quest’anno ha per oggetto Raffaello Sanzio. Tre ore e un quarto di spettacolo hanno solo tentato di penetrare e sviscerare lo spazio prospettico, la luminosità celestiale, l’armonia, la dimensione poetica e divina della creazione artistica raffaellita.
Il mondo antico con le sue simmetrie, le sue proporzioni, la sue armonie confluisce nei dipinti di Raffaello rinnovato e reinterpretato alla luce degli ideali di bellezza e perfezione propri del Rinascimento. Vittorio Sgarbi pur presentandoci la straordinarietà dell’artista, dichiara subito, con la sua tipica verve ironica, la sua antipatia verso l’artista, visto dallo stesso critico forse troppo anonimo nel suo stile di vita: dall’immagine di Vasari appare, infatti, un uomo pieno di virtù, dedito alla pittura e agli “eccessi amorosi”, che ha organizzato la sua bottega come un’odierna impresa. Tante virtù ricongiunte in una sola persona, sembrano agli antipodi del genio incostante e imprevedibile di Leonardo o di quello maledetto di Caravaggio. Rientrato poi nello specifico del percorso artistico di Raffaello, Sgarbi non trascura nessun aspetto della sua vita, a partire dal confronto con le opere del padre Giovanni Santi che, pur essendo pittore mediocre, ha intuito le doti del figlio, affidandolo poi alla guida del Peugino, diventato il suo maestro.
Le immagini sullo sfondo, i cui colori sono perfettamente valorizzati dallo schermo e dal disegno luci, ripropongono le opere giovanili del pittore dalle quali si evince un’evidente influenza di Perugino, di Piero della Francesca e del Pinturicchio in termini di prospettiva, simmetria e proporzioni delle forme (Lo sposalizio della Vergine 1504). A dettare i tempi della messa in scena, il disegno luci e il violino di Valentino Corvino, che scandiscono i capitoli della creazione raffaellita. A seguire infatti il periodo a Firenze in cui Raffaello si reca per ammirare le opere di Leonardo e Michelangelo, al culmine della loro fama. Tracce dell’influsso leonardesco sono presenti in svariate rappresentazioni della Madonna, in cui la Vergine è ritratta su uno sfondo paesaggistico che dischiude l’immagine, come nel caso della Madonna col cardellino (1505). Come ci sottolinea Sgarbi nei suoi commenti precisi, puntuali, mai banali e capaci di coinvolgere il pubblico in sala, le effigie delle Madonne di Raffaello, pur essendo numerose, presentano tutte variazioni originali: Raffaello non si ripete mai, non crea archetipi, inventa sempre un modello nuovo rispettando nel contempo tutte le norme della bellezza ideale, dell’equilibrio, dell’armonia. Al periodo fiorentino risale l’avvio alla ritrattistica: scorrono sullo sfondo le immagini dei numerosi ritratti dipinti dal prolifico pittore a partire dal suo autoritratto (1506) in cui sono già presenti in nuce elementi che giungeranno a compimento nei ritratti di Giulio II (1511) e Baldassare Castiglione (1514-1515).
Il realismo e la ricerca psicologica, creano un nuovo genere successivamente ripreso e sviluppato da Lorenzo Lotto: il ritratto psicologico. Nei ritratti di Raffaello non ci sono solo volti, c’è l’espressività, l’emotività di uomini e donne che portano scritta in viso la loro dimensione umana. Al periodo fiorentino, segue quello romano in cui viene chiamato da Giulio II ad affrescare le Stanze Vaticane. L’architettura entra prepotentemente nella pittura della Scuola di Atene, dell’Incendio di borgo, i cui coprotagonisti sono lo spazio prospettico e gli elementi architettonici decorativi. Il mondo classico, la tradizione cristiana, la contemporaneità dei volti di Michelangelo, Leonardo e di se stesso, confluiscono nel capolavoro unico delle Stanze Vaticane. Nel 1520, proprio quando è all’apice del suo successo, all’età di 37 anni lo coglie una febbre dovuta agli “eccessi amorosi” come ci dice Vasari (probabilmente aveva contratto la sifilide per la sua intensa attività sessuale dice con ironia Sgarbi). Finisce così l’esistenza di “un dio mortale, in grado di portare la dimensione del divino nelle sue creazioni, perché l’arte come la fede, ci fa percepire la presenza del sublime, quindi di Dio”.
Anche l’appuntamento della lezione spettacolo su Raffaello, si è rivelata una grande occasione per contemplare il bello, il sublime che solo l’arte può restituire. La competenza e le doti di critico d’arte di Vittorio Sgarbi sono riconfermate, ma il successo delle sue lezioni è dovuto anche ai suoi interventi estemporanei e politicamente scorretti sugli artisti, sulla loro realtà con riferimenti a quella contemporanea. Si oscilla tra più registri linguistici che rendono vivaci e accattivanti le spiegazioni sulle numerosissime opere di Raffaello. Il pubblico infatti si mostra partecipe e interessato, peccato però per la lunga durata della performance che ha costretto molti ad abbandonare anticipatamente il teatro.
Mena Zarrelli
13 ottobre 2019