Recensione dello spettacolo: L’attimo fuggente, di Tom Schulman. Con Ettore Bassi, Mimmo Chianese, Marco Massari, Matteo Vignati, Alessio Ruzzante, Matteo Napoletano, Matteo Sangalli, Leonardo Larini, Edoardo Tagliaferri, Sara Giacci. Regia di Marco Iacomelli. In scena al Teatro Ghione dal 10 ottobre 2019 al 20 ottobre 2019
Che strano tipo quel professor Keating che si affacciò nell’ autunno del 1959 in quell’aula del Colleggio di Welton, di cui in passato era stato anch’egli allievo. Qui, sotto il controllo attento e severo dell’austero preside Nolan ( Mimmo Chianese), la disciplina, la tradizione, l’onore e l’eccellenza sono i pilastri; i figli eseguono quello che vogliono i padri per divenire ciò che avrebbero voluto diventare i padri. Chissà cosa avrebbero desiderato realmente per se stessi quegli studenti che si ritrovarono al College per un nuovo anno di corso, disabituati ed impauriti dal loro sentire autonomo, troppo presto immolato e anestetizzato per un futuro deciso da altri. Come un’improvvisa aria fresca di prima mattina che, dolce e inaspettata, accompagna i risvegli, quelle strane parole e quel singolare modo di insegnare del prof. Keating destarono i ragazzi dal loro torpore esistenziale, illuminandoli sul senso della loro vita. Non lasciarsi vivere, ma vivere cogliendo l’essenza della propria esistenza, non permettere di andare a ciò che non ritorna, ma afferrarlo, inseguirlo, fino a succhiarne il nettare.
Carpe diem: perchè solo cogliendo l’attimo, sentiremo di essere ancora vivi e affermare la nostra individualità. Molto di più di un concetto o di un dettame, bensì espressione ed esortazione ad un autentico modo di essere, la lezione del professore si affranca dal concetto di studio inteso come introietto passivo, stimolando i suoi allievi alla critica e alla masticazione dei concetti, e divenire essi stessi poeti della loro vita. L’invito a strappare le pagine dei libri, i cui autori pretendono di ridurre ad una formula geometrica il valore della poesia, è metafora di esortazione alla critica personale, di rifiuto per ciò che ci viene sottoposto come verità assoluta, e verso ciò che asetticamente si frappone tra noi e l’essenza delle cose. Come tutti coloro che portano un’aria nuova, laddove si respira solo quella stantìa, viziata e maleodorante, pensando che sia l’unica disponibile, il professor Keating, sarà dapprima oggetto di incredulità e derisione da parte dei suoi studenti. Ben presto una parte di loro imparerà a respirare quel vento di novità portata dal loro “capitano” di cui si incuriosiranno fino ad emularne il suo stile di vita in gioventù, ridando vita a la setta dei poeti estinti. Era questa in origine costituita da un piccolo gruppo di collegiali, a cui apparteneva lo stesso Keating, che anni prima si riuniva di notte in una grotta indiana, per leggere a turno versi di poesie, al fine di assaporarle fino al midollo e condividerne l’essenza.
Ma si sa, ciò che non si conosce fa paura perchè ci costringe a rischiare il contatto, a mettere in discussione le nostre certezze restituendoci quel senso di smarrimento e di crollo dei riferimenti di sempre. Meglio la regola, che ci protegge e ci indica la direzione dei nostri comportamenti, esonerandoci dalla responsabilità del libero pensiero. Anzi, più il dettame è rigido più ci si sente protetti da quell’inciampo del sentire autonomo, come tenta di fare quel gruppetto di collegiali inebriati da quel professore “maledetto”. Poco importa se qualcuno di loro muore per trovare la propria aurorealizzazione contrapponendosi ad un volere imposto: la colpa non è certo dei genitori che hanno voluto solo il bene del loro figliolo ma di quel professor Keating e delle sue maledette teorie.
Testo potente, di Tom Schulman per l’omonimo film del 1989 diretto da Peter Weir ed interpretato da un ottimo Robin Williams nei panni del professore John Keating. Cogliere l’attimo e sapersi godere ogni singolo istante della propria vita perchè siamo destinati a morire sembra essere la sfida implicita che accomuna anche inconsapevolmente ogni essere umano rendendolo identico a tutti gli altri nella parola finale del suo destino. Tale tematica è sempre attuale proprio in virtù delle diverse risonanze che riesce a riattualizzare in ognuno di noi, fino a divenire materia scomoda e frustrante per chi ricerca ancora la propria essenza. La bontà della regia di Marco Iacomelli raggiunge il suo apice nella valorizzazione della drammaturgia stessa, attraverso la creazione di un’atmosfera complessiva che intercetta in modo credibile ed efficace i passaggi emotivi della narrazione. Opinabile la scelta dello stesso Schulman di sostituire nell’allestimento teatrale il servizio da scrittoio, presente nella versione cinematografica, con una tazza da colazione come regalo di compleanno dei genitori al figlio Todd (Alessio Ruzzante), il collegiale inibito dal sovraccarico di aspettative genitoriali.
Maria Carla Ricotti allestisce un’affascinante scenografia su una dimensione virtuale e reale. Quest’ultima è composta unicamente da sedie che, in relazione alla loro disposizione ed inclinazione, assurgono a metafora di diversi elementi della scena, divenendo anche banchi di aula, cattedra e rocce della grotta. Sono gli stessi attori a disporre le sedie durante i cambi scena, arricchendo di corporeità e dinamismo la stessa, evitando, inoltre, pause o interruzioni. Su un doppio pannello bianco brillante a disposizione ortogonale, vengono proiettate immagini emblematiche dell’ambientazione collegiale. Queste ritraggono spesso formule geometriche o pesie che, scritte entrambe con penna stilografica, restituiscono elegantemente credibilità old style. Prezioso inoltre l’apporto luminoso a cura di Valerio Tuberi che, dialogando armoniosamente con la scenografia, contribuisce a caratterizzare emotivamente l’ambientazione, creando suggestivi chiaroscuri.
Credibile l’interpretazione di Ettore Bassi nel difficile ruolo del prof. Keating indistricabilmente legato a Robin Williams. Bassi sembra riuscire a trovare una via mediana tra la sua personalità attoriale e i rimandi all’attore americano, poichè non potendosi da questo affrancare, si limita ad accennarne alcune movenze mimiche, senza cadere nell’asettica imitazione. Nonostante una dizione ancora perfettibile, rimane gradevole l’interpretazione complessiva degli altri attori, tra i quali spicca quella di Matteo Vignati nei panni di Neil Perry, il collegiale che prima degli altri recepisce la lezione del professor Keating e, sfidando le regole genitoriali, tenta di “cogliere la rosa quando è il momento”.
Il nutrito pubblico emozionato, commosso ed appagato decreta la buona riuscita dello spettacolo.
Simone Marcari
14 ottobre 2019