Recensione dello spettacolo Spoglia-toy in scena al Piccolo Eliseo fino al 26 maggio 2019
I minuti passano. La tensione cresce man mano che si salgono le scale del Piccolo Eliseo. Ad attendere lo spettatore non c’è l’amata e rassicurante poltroncina rossa, ma una misteriosa e inquietante creatura in accappatoio e con il volto mascherato. Gli spazi del teatro, una volta luminosi e accoglienti, sono bui, stretti e assordanti. Irriconoscibili anche agli occhi dei suoi più assidui frequentatori. Il passaggio è obbligato, non si può far altro che continuare a salire, stretti fra le fotografie “minacciose” dei giocatori e l’impazienza di gustarsi lo spettacolo. Ed ecco che il nuovo esperimento firmato Luciano Melchionna è servito.
Spoglia-toy, scritto a quattro mani insieme a Giovanni Franci, torna in scena nella Capitale per riproporre l’interazione attore-spettatore che Melchionna aveva già sperimentato con il pluripremiato Dignità autonome di prostituzione.
Calciatori, mister e spettatori occupano lo stesso spazio, sono l’uno accanto all’altro, sono parte della stessa scena. La distanza, che solitamente separa la platea dal palcoscenico, si annulla per far posto a un’intimità che guida il pubblico fin dentro il camerino del calciatore. Qui, lontano dalle luci dello stadio e dai riflettori del gossip, da quello che la società si aspetta e pretende, ogni singolo giocatore si confessa, racconta il lato oscuro di un mondo apparentemente dorato e perfetto. Undici monologhi per undici storie diverse. Imbarazzo. Commozione. Empatia. Difficile dire quale delle tre prevalga durante i 14 minuti a tu per tu con l’attore e il suo personaggio. Difficile sapere cosa avranno raccontato gli altri dieci in quello stesso frangente di tempo. Ad ogni spettatore è concesso un solo monologo. Per gli altri bisognerà tornare a teatro e acquistare un nuovo biglietto.
“Vi sareste mai immaginati da bambini di essere così acclamati, ben voluti e soprattutto ben pagati?” ricorda loro, prima di scendere in campo, Gennaro Di Colandrea, nei panni del mister. Perché sì, ammettiamolo, il calcio è l’ultima rappresentazione sacra dell’era moderna, mentre loro, i calciatori, sono gli ultimi dei pagani dei giorni nostri: vere e proprie icone da pregare prima di un avvenimento importante, modelli in cui riconoscersi e a cui aspirare.
Una volta i calciatori non avevano gli stessi corpi scolpiti di oggi, uscivano con ragazze normali e sporche di sugo, e non potevano permettersi macchine e ville lussuose come le star di Hollywood. Oggi sono idolatrati, acclamati, strapagati per regalare al pubblico pagante 90 minuti di “paradiso”. Sono valvola di sfogo, rappresentazione di ideali e valori, opportunità di salvezza. Sono la sintesi perfetta delle contraddizioni che si nascondono nel calcio e nella Società Sportiva e, dunque, nella Società stessa e che trovano nell’epilogo, affidato alla meravigliosa Adelaide Di Bitonto, la denuncia più grande.
Spoglia-toy è uno spettacolo che tratta sì di calcio, ma parla anche dritto al cuore e alle coscienze di chi il calcio non lo ama e non lo segue. È il frutto di uno studio che evidenzia gioie e dolori di un mondo che dà tanto e pretende altrettanto, ma è anche un invito a riflettere sulle regole, sui compromessi, sui ruoli giocati nella partita più importante di tutte che è la vita.
Uno spettacolo che rompe le regole della rappresentazione canonica per regalare cinquanta minuti di puro teatro. La bravura indiscussa degli attori, messi a dura prova dal contatto diretto con il pubblico e dallo sforzo fisico, la potenza di un testo che appassiona, incita e risveglia gli animi, la forza del format interattivo, supportato dalla combinazione perfetta di musiche, installazioni fotografiche e luci, lasciano credere che Spoglia-toy sia destinato a riscuotere lo stesso successo di Realtà autonome di prostituzione. Intanto è già sold-out!
Concetta Prencipe
24 maggio 2019