Recensione dello spettacolo La Gabbia in scena al Teatro Brancaccino dal 2 al 12 maggio 2019
È fatta di fili di ferro e nylon la gabbia di Max e Pier. Sospesa in una dimensione spazio-temporale indefinita, La Gabbia è il microcosmo entro cui si consuma il dramma dei due protagonisti. È la scatola nera dentro cui lo spettatore ritrova schemi e paure quotidiane che lo paralizzano in un eterno presente da cui sembra impossibile andare avanti.
Il testo di Massimiliano Frateschi, in scena insieme a Federico Tolardo, è una lente d’ingrandimento sull’inconscio, ma soprattutto un invito a riflettere sui propri disagi psichici. Attraverso l’espediente della malattia mentale, l’autore vuole far “ridere dei problemi gravi” e al tempo stesso indurre lo spettatore a ragionare su una condizione che appartiene a tutti: l’incapacità di accettare la realtà ed essere felici.
Quante volte pensiamo ad altro per non pensare davvero?
“Max la tua gabbia sei tu!” gli ricorda più volte Pier nella cella d’isolamento in cui sono costretti per qualcosa di orribile commesso in passato. Un passato con cui devono fare i conti ogni giorno e che si svela a poco a poco.
In quello spazio ristretto, il tempo scorre lento, scandito solo da una voce registrata che, meccanicamente, stabilisce quando è ora di svegliarsi, di pranzare, di prendere una boccata d’aria (anche se a loro non è concessa) e di rimettersi a letto. Non ci sono più i colori, i profumi, i sapori e le voci delle persone care. L’unica musica possibile è quella che arriva dal cuore.
Non c’è futuro, se non quello che i due immaginano nei momenti in cui il dolore è così forte da spingerli a evadere, a tentare tutti gli escamotage possibili per non morire.
In un’ora e un quarto Max e Pier regalano empatia, sorrisi, ragionamenti (non sempre lucidi) e speranze per un finale diverso da quello reale, seppure inatteso. E se la bravura dei due attori è fuori discussione, il pubblico scopre la verità nella follia solo grazie ad un gioco di squadra perfetto. Con Max Vado in cabina di regia, le luci, le musiche e le proiezioni video accompagnano perfettamente ogni movimento in scena. E, se i costumi (di Tiziana Massaro) non lasciano spazio al dubbio sulla salute mentale dei due personaggi, la gabbia sospesa di Andrea Urso restituisce perfettamente il labile confine tra una cella carceraria e i limiti mentali di ognuno.
Concetta Prencipe
7 maggio 2019