Recensione dello spettacolo Tango Glaciale Reloaded (1982-2018) in scena al Teatro India dal 5 al 14 aprile 2019
Potremmo definire Jozef Gjura, Giulia Odetto e Filippo Porro gli eredi naturali di Andrea Renzi, Tomas Arana e Licia Maglietta. Eppure tutti e tre sono nati dopo il 1982, anno in cui gli artisti di Falso Movimento portavano in scena nella Napoli di Eduardo Tango Glaciale. Tutti e tre non hanno respirato l’aria e il fermento culturale degli anni Ottanta. Eppure, oggi esattamente come trentasette anni fa, come sostiene lo stesso Martone, “mi sembrava interessante mettere il lavoro alla prova di una generazione che era lontana dall’essere stata concepita quando lo spettacolo nasceva. È interessante vedere quel che accade a questi attori scaraventati, diversamente da noi di Falso Movimento e dagli spettatori di allora, nella macchina del tempo”.
In Tango Glaciale Reloaded cambiano i protagonisti, cambiano i tempi, ma resta quel ragazzo con i suoi amici che assiste e partecipa alla rapida trasformazione di tutti gli ambienti della sua casa e allo sgretolamento di qualsiasi riferimento, anche spazio-temporale. Nonostante i rimandi alla pop-art, alla new wave, all’America del jazz e di Broadway, i tre danz-attori e il pubblico in sala sembrano si perdono per sessanta minuti e si ritrovano catapultati in una dimensione onirica e fantascientifica, in cui il tempo scorre veloce, per poi incepparsi e ripetersi più e più volte. Come una vecchia VHS che manda in loop sempre la stessa scena. A tal proposito, meritano un plauso i tre protagonisti meravigliosamente coordinati e in grado di ripetere lo stesso movimento senza la minima sbavatura.
Non c’è neppure un riferimento linguistico condiviso: lo spettacolo di Martone è soprattutto fisico. L’unica parola presente è quella cantata, gridata, quasi sempre in un’altra lingua (esistente?).
Per un’ora una cascata di immagini e disegni videoproiettati introducono lo spettatore in un racconto domestico suddiviso in dodici episodi, ciascuno della durata media di cinque minuti. Si passa dal salotto alla cucina, dalla terrazza alla piscina, fino a salire sul tetto e perdersi tra le stelle. Anche la scenografia in senso classico è assente. Pochi oggetti riempiono la scena e, quasi sempre, sono sospesi o legati a un filo: rimbalzano, scivolano, volano. Il resto lo fanno le luci, le musiche e le proiezioni. E ovviamente loro, gli attori.
Il passaggio da una scena all’altra è fluido e veloce, scandito dal cambio di “diapositiva”: in effetti, si ha la sensazione di essere davanti a un vecchio proiettore di diapositive, appunto.
Tango Glaciale può forse non arrivare o piacere a chi è abituato alla rappresentazione classica, ma è sicuramente uno spettacolo nello spettacolo, in cui, più che in altri casi, gli attori non sono soli sul palcoscenico, ma devono condividere gli applausi con tutta la squadra che, dai video, alla grafica, alle luci, alla colonna sonora, ha contribuito a raccontare una storia senza dubbio sui generis.
Concetta Prencipe
7 aprile 2019