Recensione dello spettacolo Aspettando Godot di Samuel Beckett con Antonio Salines, Luciano Virgilio, Edoardo Siravo, Fabrizio Bordignon, Gabriele Cicirello. Regia di Maurizip Scaparro. In scena al Teatro Ghione dal 4 Aprile 2019 al 14 Aprile 2019
Non sappiamo esattamente chi o cosa fosse...forse la speranza di cambiamento.. oppure un brivido di un destino favorevole che non sappiamo quando arriverà, se è già passato e se tornerà. Nell’attesa di Godot, siamo immersi nel nostro deserto personale dove i sogni sono turbati e il tempo dilatato. Ciò che è successo ieri non lascia tracce nel presente, ed anche noi, forse, non siamo poi così sicuri di essere stati lì, nel posto in cui il giorno prima abbiamo trascorso intere ore ad aspettare e ad ascoltare le nostre voci che, anche in pieno deserto, rimbombavano. Due amici di una vita passata insieme, invecchiati insieme, con paura e curiosità aspettano Godot, che aveva dato loro appuntamento nel posto in cui essi già si trovano da diverse ore, per proporre loro un affare. Chissà chi è questo Godot, e cosa fare nell’attesa, in pieno deserto, con il tempo che si è fermato... e con Godot che non arriva. Si abbracciano perchè sono amici, si maledicono a vicenda perchè sono tanto amici, si separano, perchè da soli si sta meglio, ma poi si ritorna assieme e ci si sopporta insieme..aspettando Godot. Oppure si potrebbero impiccare prima che questa attesa e desolazione uccida loro. Poi le scarpe iniziano a far male ad Estragone.. e Godot non arriva. Non è l’attesa ad essere per loro insostenibile, ma è ciò che costringe a fare che li uccide lentamente: questo silenzio impone loro di ascoltarsi dentro, ed è vitale fare qualcosa per non pensare e non pensarsi. Siamo noi in realtà a non volerci aspettare.
Dì qualcosa! Qualsiasi cosa! Grida Vladimiro a Estragone, perchè solo le parole o il sonno possono distrarci da noi stessi. Si chiama Pozzo quello strano tipo che sembra materializzarsi dalla sabbia del deserto. Imponente e ruvido, arriva vestito da domatore con al guinzaglio il suo servitore, Lucky, un uomo sottomesso al padrone, somigliante ad un animale da circo che, pur di non essere abbandonato, è disposto ad annullarsi nella sua identità ed eseguire gli ordini. Arrivati dal nulla, come nei sogni, le loro rispettive personalità sembrano confuse, contraddittorie, ma soprattutto apparenti e provvisorie: il buon Lucky in realtà morde e sa essere aggressivo, e l’egocentrico Pozzo a volte piange e si dispera. Contrariamente a Godot che non arriva, egli indugia ad andare via. Che senso ha avuto la presenza di quei due strani tipi, chiede Vladimiro: ci hanno fatto passare meglio il tempo che altrimenti sarebbe trascorso più lentamente risponde Gogò ( Estragone). Sembra rimanere questo il senso della vita: trascorrere il tempo che altrimenti sarebbe interminabile, costruendoci una speranza che allieti i nostri eterni istanti, aiutandici a non pensare alla morte. Vladimiro ed Estragone in realtà sono stati salvati da Pozzo, che li ha distolti dall’idea del suicidio, incarnando la distrazione e l’alternativa.
La realtà si confonde con il sogno e forse non è mai esistita nel teatro dell’assurdo di Beckett, dove la logica viene abolita lasciando il posto alla suggestione, e ciò che non viene colto con la ragione viene raggiunto con le emozioni. In un’opera apparentemente ferma, quasi immobile, lo spettatore stesso diviene parte attiva, riempendo quel vuoto fertile con le proprie risonanze e la propria storia, dando un senso personale e nuovo a quel paesaggio che non cambia mai, e dove nessuno va e nessuno viene. Nel deserto dell’illogico, l’assurdo defluisce nell’esistenzialismo con frasi che colpiscono al cuore intercettando l’essenza del genere umano. Di spessore, a tal proposito, l’interpretazione di Edoardo Siravo nei panni di Pozzo: è proprio il suo personaggio a far notare ai due amici l’assurdità di aspettare qualcuno che non conoscono, metafora dell’umano atteggiamento di attesa e speranza per una sorte enigmatica e sconosciuta. Siravo incarna efficacemente, con corporea irruenza e voce autoritaria e ruvida, la possenza di Pozzo e la dissonante fragilità della sua anima. Ben curata ed elegante la performance di Fabrizio Bordignon nei panni di Lucky che raggiunge il suo acuto nel soliloquio quando, ricevuto l’ordine da Pozzo di pensare, egli dà sfogo a tutti suoi ragionamenti attraverso un mare di parole interminabili e concetti slegati tra di loro, tipici di chi, per troppo tempo, non ha potuto comunicare, ed ora non è più abituato ad organizzare i pensieri. In quella loro andatura stanca, indecisa tra impazienza e stanchezza e nei dialoghi ridondanti, tanto per ingannare il tempo, Antonio Salines ( Estragone ) e Luciano Virgilio ( Vladimiro) sono risultati convincenti nel comunicare il tormentato vissuto di un’estenuante attesa. Il Vladimiro di Luciano Virgilio sembra assumere i contorni di un fratello maggiore rispetto all’insofferenza capricciosa di Estragone, ben trasmessa da Antonio Salines, riportato da questi alla regola e all’adempimento: non possiamo andar via perchè aspettiamo Godot! Dall’elegante regia di Maurizio Scaparro filtra una particolare dedizione all’aspetto emozionale della drammaturgia di Beckett, attraverso una caratterizzazione umana, solitaria e sofferente dei personaggi, impreziosendo la pièce di spunti poetici ben intercettati e materializzati dalle scenografie di Francesco Bottai. Tali allestimenti, unitamente al disegno luci di Salvo Manganaro, colorano suggestivamente la scena: emozionante l’immagine della luna sulla quale si stagliano i personaggi avvolti da un cielo che, cambiando colore, scandisce il tempo dell’attesa.
La recitazione prevalentemente sviluppata nei pressi di un salice, l’albero sul quale Estragone e Vladimiro hanno meditato più volte di impiccarsi, sembra sottolineare metaforicamente la precarietà dell’esistenza umana contraddistinta dalla convivenza con l’idea della morte. E intanto Godot non arriva...
Simone Marcari
8 aprile 2019