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Noi, i Ragazzi dello zio di Berlino: valicare i muri

Recensione dello spettacolo “Noi, i ragazzi dello zio di Berlino”, in scena al Teatro Sette dal 26 al 31 Marzo 2019

 

Muro. Una parola o un concetto che, in maniera ricorrente, torna di moda. Chi può parlarne con maggior cognizione di causa, di chi lo ha conosciuto? Non un muro, il Muro.

Lele (Luis Molteni), pizzaiolo capitato per caso nella Berlino degli anni ‘60, vive la sua vecchiaia, perseguitato da fantasmi che parlano tedesco: gli spettri delle vittime del Muro. Per affrontare l'invalidità, con un sotterfugio ha chiamato intorno a sé i nipoti dispersi, attratti dal miraggio di una cospicua eredità. Ragazzi identificabili con i vari -ismi con cui definiamo gli stereotipi del nostro tempo. Due fratelli (IlariaNestovito e Alessio Chiodini), che già dal nome inneggiano al profeta di un illusorio rampantismo, una radical chic (Irene Cedroni), un tossico (Emanuele Di Luca), una paladina della solidarietà (Giulia Di Tommaso). L'incapacità a venirsi incontro porterà i protagonisti a costruire tanti piccoli muri anche nel ristretto spazio di un appartamento.

Dopo il precedente «Operazione Balena», l’autore Gianfranco Vergoni ribadisce la volontà di unire alla pochade, il genere in cui sembra essere più a suo agio, contenuti più profondi; di concedere la risata, ma di obbligare alla riflessione e, conseguentemente, all’impegno. Ed anche stavolta il suo occhio si posa su eventi storici, da prendere come monito e lezione per il presente, su cui, con sincera passione, si documenta scrupolosamente: i personaggi rappresentati sono tratti direttamente dal libro nero delle cronache di quella cupa epoca. Grazie a questo afflato, il teatro di Vergoni si affranca da quel puro intrattenimento che, pur costituendo una nicchia dal mercato stabile, rimane pur sempre un ambito angusto.

«Noi ragazzi dello zio di Berlino» è certamente un susseguirsi continuo di gag gustose, basate sulla caratterizzazione caricaturale dei tipi umani e sui siparietti fra l’anziano protagonista e i giovani badanti. Ma contiene anche intermezzi di registro opposto, nei deliranti flashback in cui il protagonista rivede e dialoga con le presenze che alloggiano nella sua mente e che raccontano una storia apparentemente lontana, drammaticamente attuale.

I giovani attori della Compagnia Diciannoveeventi hanno l’opportunità di essere (bene) orchestrati dall’esperto regista Marco Simeoli e di sorreggersi sul mestiere di Luis Molteni, caratterista dalla inconfondibile fisicità e dalla infinita filmografia, che dimostra di essere di casa anche sulle tavole del palcoscenico. Ma dimostrano di saper come trattare il testo di Vergoni.

Maneggiando con disinvoltura i tradizionali strumenti dell’arte di far ridere – gestione dei tempi e della parola, mimica, fisicità - e, in più, uniti da un palpabile affiatamento, sviluppano una trascinante vis comica, assicurando il divertimento al pubblico. Ma, a nostro giudizio, il loro promettente talento si mette maggiormente in luce nelle scene di riflessione, quando alla recitazione è richiesta maggiore intensità. C’è da attendersi quindi che il loro lavoro possa evolvere – sono maturi per farlo - verso forme più complesse di rappresentazione.

«Noi ragazzi dello zio di Berlino» non è un semplice divertissement, gli attori della Compagnia Diciannoveeventi sanno far ridere, arte difficilissima, ma non solo. La ricerca di nuovi ambiti per le loro capacità artistiche è una frontiera che sono chiamati a superare. In fondo è anche questo è un muro da abbattere.

 

Valter Chiappa

28 marzo 2019

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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