Recensione dello spettacolo Come fanno le Falene, andato in scena al Teatro Agorà di Roma da venerdì 22 a domenica 24 marzo 2019
Un percorso di vita, anzi di vite in connessione tra il rapporto padre e figlio che crea trappole, fughe e speranze. Riapre ferite e ricordi, crea sogni e illusioni, abbatte formalità e gerarchie fino a scontrarsi con la realtà, in altalena tra le cadute del passato e balzi nel futuro che i personaggi tentano di fare. Il linguaggio poetico come evasione dal mondo e arma per navigare e per sopravvivere ai tranelli di una vita che a volte sembra senza via di uscita.
E’ quello che accade a Dedalo, inventore e architetto straordinario, padre dal passato morboso, ed Icaro, figlio di Dedalo che in tutti modi cerca di superare la cultura trasmessa dalla tradizione partendo dalla scomparsa materna e individuando in quest’ultima la causa scatenante della sua ribellione contro le convenzioni culturali. Il labirinto costruito da Dedalo per proteggere se stesso ed Icaro dalle scelte del suo passato diviene una trappola per criceti dove i protagonisti si illudono di muoversi verso una scappatoia che li tiene più che mai prigionieri della loro mente. L’astuzia e il coraggio di Icaro saranno in grado di affrontare la realtà, contraddicendo i valori tradizionalisti paterni che sono alimentati dalla paura che la figura del tiranno Minosse impone. Icaro è reso schiavo di un tempo a cui non si sente appartenere e che gli impedisce di spiccare il volo verso una libertà che in scena si vede conquistare grazie ad un percorso di consapevolezza e maturità che il personaggio esprime, sia dal punto di vista emotivo che da quello ideologico.
Mauro Ascenzi autore del testo, costruisce insieme Benedetta Cassio una regia in grado di far rapportare lo spettatore costantemente a ciò che accade in scena. Ciò avviene non solo per le qualità di contemporaneità e attualità di cui i testi classici sono in grado di mostrare e di comparare al nostro presente; grazie agli archetipi che costituiscono i loro significati. Non solo per i tentativi ben riusciti di correlare l’ambiente scenico e l’aspetto del costume ai nostri giorni; ma soprattutto perché nel rapporto tra padre e figlio lo spettatore riesce ad entrare in empatia con quanto avviene, anche grazie al lavoro registico ed attoriale, vivendo in parte quello che vivono i personaggi e allo stesso tempo sembra quasi come se volesse rifiutare le stesse emozioni da loro vissute. Un sentimento questo non determinato da un’improvvisa brutalità che lo spettacolo esplicita, anzi ciò accade proprio perché lo spettacolo è così impermeabile che svela una carnalità dei sentimenti, che evidentemente riguarda tutti ma con la quale non sempre siamo pronti a confrontarci. Anche in questo senso lo spettacolo è in grado di fare emergere l’importanza del valore archetipo, non per come è ispirato dal tema mitologico che conduce in una dimensione dal carattere classico, ma per le scelte che riguardano il modo in cui i due personaggi si rapportano. Il continuo contrasto tra di loro è capace di svelare il viscido della realtà che vivono e la crudezza delle loro vite che non riescono a governare nella realtà. “Sono dell'idea che il mito sia sempre attuale se non ci si accontenta della banale immediata morale che blocca, impedisce di vedere al di là dell'insegnamento pratico a tutti i costi.” Con queste parole l’autore sottolinea in che modo tratta il mito e quale importanza esso assuma nella costruzione drammaturgica dello spettacolo.
Sicuramente l’equilibrio e la funzione drammaturgica del testo sono sorretti dal lavoro sul personaggio che i due protagonisti dello spettacolo compiono. Paolo Congi, interpretando Dedalo, è capace di far compiere al personaggio un percorso in cui emerge l’intimità del suo passato che è in stretta connessione con la figura di padre che il ruolo lo porta ad interpretare. Sebbene l’aspetto patriarcale sia ben radicato nella cultura mitologica, l’attore riesce a dare al valore patriarcale anche un aspetto di fragilità, in grado di mostrare anche un lato materno di Dedalo. Il suo alternarsi tra autorevolezza e protezione rende chiaro il conflitto che il personaggio ha con se stesso e con il figlio. La paura, sentimento vissuto per tutto l’arco dello spettacolo, nell’interpretazione è plasmata su diversi piani, tutti adatti a rapportarsi con le diverse fasi che il personaggio ha vissuto e vive, facendo cogliere a chi assiste la complessità sul piano psicologico che il ruolo richiede.
Dedalo è uno stratega, un inventore, una persona che è abituata a progettare, finisce per diventare schiavo della sua razionalità proprio così come è diventato schiavo del labirinto che si è costruito e come se non bastasse schiavo di ciò che la sua mente ha progettato intorno al labirinto.
Discorso diverso invece vale per Icaro, personaggio interpretato da Paolo Cutroni, il suo carattere è idealista; un avventuriero del suo presente. Più che spinto dall’istinto Icaro è mosso dalla rabbia, in questo senso l’attore non mostra semplicemente un sentimento irascibile, ma crea una propria sfera emotiva nella quale modella una sua consapevolezza che lo conduce ad una maturità personale, con la quale il pubblico non po’ fare a meno di andare in empatia. Nel costruire la concezione idealistica del personaggio Cutroni compie un percorso che parte dal fanciullo fino ad arrivare ad essere uomo, pur non abbandonando il fanciullo che è dentro di lui, anzi, lo cura, lo nutre conferendogli autorevolezza. In questo modo allo spettatore è ben messa in luce un altro punto cardine riguardante il rapporto padre figlio. Ovvero il contrasto tra un’autoritarietà paterna ma piantata in un terreno di fragilità e un’ autorevolezza del fanciullo che se non crea una definitiva via di uscita dagli errori dei “propri padri”, sicuramente alimenta un raggio di luce in quel labirinto interiore del personaggio, capace di superare ogni convenzione vista come un imposizione e rendere una giustizia che non abbia il sapore di rivendicazione ma di accettazione e capacità di reazione autonoma nei confronti della vita.
Paradossalmente la concezione fatalistica che il mito impone è annullata in parte dall’accettazione anche di ciò che è il mito in quanto tale e da un processo che tende a far valere le idee e sentimenti dell’individuo come azioni. Quindi di conseguenza le azioni di Icaro lo rendono artefice del proprio destino, sciogliendo ogni catena imposta dalla convenzionalità culturali.
Lo spettacolo affonda le sue radici in un laboratorio di drammaturgia tenuto con Letizia Russo, all’interno della scuola di formazione Teatro Azione in cui l’autore, i registi e gli attori si sono formati. Continuando il lavoro in maniera del tutto autonoma si sono alimentate e sedimentate immagini che sono riuscite a creare le nuove tessiture drammaturgiche che oggi il testo espone, con l’obiettivo di rendere questo lavoro terreno sempre più fertile per future messe in scena.
Mauro Ascenzi, Benedetta Cassio, Paolo Congi e Paolo Cutroni fanno parte della compagnia “VERSUS”, giovane e dinamica compagnia teatrale che attiva in diversi contesti per quel che riguarda spettacoli teatrali e performativi. In comune hanno l’obiettivo sicuramente quello di crescere e fare di questo lavoro uno slancio capace di rendere il teatro, attraverso l’ ardente passione che nutrono, una pratica artistica sempre in eruzione e soprattutto viva.
Emiliano De Magistris
28 marzo 2019