Giovedì, 21 Novembre 2024
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La battaglia di Elio Germano: gioco, realtà o finzione?

Recensione dello spettacolo La mia battaglia in scena al Teatro Ambra Jovinelli dal 26 al 31 marzo 2019

 

Arriva dietro le spalle Elio Germano, cogliendo tutti di sorpresa. Uno si aspetta di vederlo comparire sul palco, allestito solo da un leggio, e invece no. Esordisce con un caloroso buonasera a tutti come se fosse un conduttore televisivo di uno show che sta per andare in onda, indossa semplici jeans, una camicia bianca e un maglione grigio. Viso pulito, ben pettinato, aspetto in ordine.
Chi è questo personaggio che si muove tra il pubblico e sale e scende dal palco preso da una strana euforia?


Si presenta, come detto, come uno showman arguto, simpatico, amico, un vicino di casa affettuoso, uno psicologo in grado di entrare subito in empatia col pubblico. Analizza gli stati d’animo, comprende le turbe psichiche di ognuno, i sentimenti, le frustrazioni, i dubbi, il senso di smarrimento estraniante in cui affonda la nostra società. Nel suo discorso parla infatti immaginando il teatro come una grossa nave che sta naufragando, dove i sopravvissuti – il pubblico – approdano in un’isola deserta. E lo fa sputando battute su battute, suscitando l’ilarità dello spettatore, tirandolo fuori dal guscio del suo ego.
Sì, perché il suo discorso/spettacolo è incentrato giustappunto sulle “trappole” dell’Io che ha fatto perdere il senso di noi esseri umani, nati e cresciuti per stare insieme, sostenerci gli uni con gli altri per il bene della collettività. Inizia il suo dire sfottendo noi tutti sul nostro essere pigri, sulla nostra ossessione di piacere a tutti i costi e di focalizzare le nostre giornate e la nostra attenzione perennemente sui selfie.
Da questo momento in poi parte un’analisi che diventa a poco a poco un turbinio di riflessioni, commenti sarcastici, sorrisi ironici che sfociano anche in applausi. E fin qui tutto bene. Il pubblico in sala approva le parole dell’attore, si diverte, lo segue rapito con gli occhi. Lui continua a muoversi freneticamente come un grillo, tutto preso dal suo ragionamento antropologico politico e sociale: scopre le falle del sistema, le mostra agli occhi di tutti, cerca nuove soluzioni ai problemi, inventa e si reinventa ancora.
E ancora una volta, forse per l’ultima, ci si domanda: chi è questo personaggio?
Si diletta a discorrere di cucina, di meritocrazia, di qualità della gente (e non di quantità), del dissesto economico e politico che stiamo attraversando. Disserta delle figure politiche di oggi con rimandi impliciti a quelli di ieri (ma questo si scoprirà solo alla fine), parla di scuole, di insegnamenti buoni e pacifici per costruire una società modello, che sia migliore per il futuro dei nostri ragazzi e dei nuovi giovani che verranno, delle fughe di cervelli all’estero, del gorgo della disperazione e della crisi in cui siamo precipitati.
Quest’attore parla, parla… per un’ora intera, senza interruzioni. Non dà né tempo né modo al suo pubblico di capire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Tutto ciò che dice lo si approva tout court, senza rendersi conto di ciò che sta accadendo. E sta accadendo proprio sotto i nostri occhi.
I più non si accorgono di nulla, forse perché appena s’è iniziato a principiare di politica hanno tirato fuori i cellulari, c’è chi ha iniziato a sbadigliare, chi ha bisbigliato commenti sottovoce… ma questo non ha fermato il nostro attore anzi, lo ha galvanizzato a continuare. E poi c’è quella piccola fetta di pubblico che ha continuato a seguirlo imperterrito, sostenendolo, alzando la voce, chi invece ha preferito uscire fuori dal teatro prima che lo “spettacolo” finisse.
Eh sì, il linguaggio adoperato – anche se proviene da una persona carismatica – suscita anche di questi effetti. Ed eccolo il crac, l’imprevisto. Forse lo si aspetta, forse lo si vuole (o si spera) suscitare. Può anche non accadere, e questo succede quando smarriamo la chiave e non riusciamo più a venir fuori dalle nostre trappole mentali. Ormai siamo nel gorgo fin dentro al collo – quei pochi che son riusciti a salvarsi sono già fuori – e solo al termine ci si rende conto di quel che (ci) è successo. Ma è troppo tardi.
Con La mia battaglia Elio Germano mette a segno un altro dei suoi successi dimostrando, ancora una volta, la sua straordinaria e indescrivibile bravura. È riduttivo definire questo spettacolo geniale, astuto e maestoso perché è veramente qualcosa di indescrivibile. Mai prima d’ora ci era capitato di assistere ad uno spettacolo studiato (letteralmente) in ogni sua forma, in ogni suo passaggio e in ogni sua battuta.
A contribuire alla riuscita perfetta di questo lavoro – come non citarle – sono state le luci di Alessandro Barbieri (per gran parte del tempo Elio Germano è chiaramente visibile, solo sul finire le luci diventano sempre più buie) e l’audio curato da Gianluca Meda che, assieme all’effetto luci di Barbieri, è riuscito a diffondere l’infausto evento e il sentimento di paura/trappola che aleggiava nell’aria (il rullo dei tamburi lo si sentiva forte e potente fin dentro al petto).
Anche gli applausi sono stati sentiti e interminabili (peccato per chi è andato via prima), ma una cosa ci è balzata all’occhio in quegli istanti: Elio Germano ha raccolto gli applausi in silenzio, piegandosi completamente in avanti e a capo chino. Non si è alzato subito. Lo ha fatto per tre volte di seguito al momento di uscire sul palco.
Un piccolo gesto che ha significato tante cose.

 

Costanza Carla Iannacone
27 marzo 2019
 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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