Recensione dello spettacolo Il gabbiano in scena al Teatro Quirino dal 19 al 31 marzo 2019
Quando il testo di Čechov fu messo in scena la prima volta in teatro rappresentò un fiasco, un vero disastro tanto che lo stesso autore poi si sarebbe rivolto a un critico francese che lo aiutò a elevare il testo fino a farlo diventare uno dei più noti e rappresentati al mondo.
Il gabbiano che ci portano in scena Giancarlo Sepe e Massimo Ranieri, però, rappresenta una sorta di ‘nuova edizione’ dell’opera ed è decisamente diverso e lontano dall’idea dello spettacolo cui ci si aspetta di assistere: senza tradire lo spirito dell’opera, infatti, il regista Giancarlo Sepe si permette di rimaneggiare forma e parole per dare a Ranieri l’opportunità di presentare al pubblico un riadattamento in chiave musicale.
L’essenza del testo originario resta tutta, anche quella drammatica gravità tipica della letturatura russa che nemmeno Sepe o Ranieri possono evitare e che, forse proprio per questo, cercano nel loro piccolo di trasformare in qualcosa di relativamente più agile e più fruibile al tipo di pubblico che si aspettano di accogliere in sala, riuscendoci solo in parte.
Sicuramente va riconosciuta la bravura sia dello stesso Ranieri che del cast tutto, in cui spiccano non solo attori più affermati come la Vertova ma soprattutto i più giovani come Francesco Jacopo Provenzano, Federica Stefanelli e Martina Grilli, che dimostrano di saper padroneggiare la scena e il testo senza paura del confronto con i colleghi più maturi che affrontano a testa alta in un’atmosfera non di rivalità, ma di complicità e di rispetto gli uni degli altri.
In questo climax, Massimo Ranieri dimostra ancora una volta una sorprendente versatilità nel giostrarsi tra le performance canore a quelle attoriali: lui è la prova vivente che esistono ancora i veri artisti, quelli a 360° che non hanno timore di confrontarsi anche con opere del 1895 di autori russi noti in tutto il mondo. Se la sfida di Sepe e Ranieri era quella di voler veicolare il dramma di Čechov in modo più ‘moderno’, offrendo allo spettatore il piacere di ascoltare dalla viva voce dell’artista brani del repertorio della Piaf o di Serge Lama, allora possiamo affermare con piacere che la sfida è vinta: l’inserimento delle canzoni, che rendono l’opera di stampo quasi internazionale, costituisce una sorta di ponte, di trait d’union tra i vari ‘episodi’ del dramma, che non avrebbe sortito lo stesso effetto se fosse stato un altro diverso da Ranieri a eseguirle. Lo stesso vale per il personaggio affidatogli che si rende interessante proprio perché è Ranieri a interpretarlo: questa specie di narratore esterno alla storia che diventa sempre più parte di essa fino poi a far venire allo scoperto il suo vero ruolo, rende la messinscena più appassionante perché rappresenta una novità rispetto al testo originale e contribuisce a donare allo spettacolo una nota più fortemente psicologica.
A sottolineare il tono drammatico della rappresentazione contribuiscono le musiche dell’Harmonia Team e il disegno luci di Maurizio Fabretti, costruito in modo che l’occhio di bue illumini ciascun personaggio per svelarne e sottolinearne pregi e difetti, turpitudini e desideri, disperazione e malinconia, pazzie e strazio d’amore in un circolo sterile in cui nessuno ama veramente l’altro né è riamato a sua volta.
La chiave di lettura del testo di Čechov proposta da Sepe è sicuramente particolare e rappresenta un modo coraggioso di interpretare e affrontare un classico del teatro come Il gabbiano, per questo ci sentiamo di consigliarne la visione soprattutto a chi ama la bravura dell’artista partenopeo e la sua musica.
Diana Della Mura
23 marzo 2019