Lunedì, 25 Novembre 2024
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La governante al teatro Quirino: Quando l’indicibile si trasforma in morte

Recensione dello spettacolo teatrale La governante di Vitaliano Brancato con Ornella Muti ed Enrico Guarnieri, Rosario Minardi, Nadia De Luca, Rosario Marco Amato, Caterina Milicchio, Turi Giordano, Naike Rivelli. Regia Guglielmo Ferro. In scena al teatro Quirino dal 5 marzo 2019 al 17 marzo 2019

 

Come un telo apposto davanti agli occhi e sulla coscienza, che esonera e protegge dal libero pensiero e dall’esperire emotivo, la cultura di appartenenza in una famiglia siciliana trapiantata a Roma nell’immediato dopoguerra stabilisce cosa pensare e cosa provare. Non c’è spazio per la propria coscienza e per il proprio reale sentire, perchè soppressi da introietti culturali che come tali vengono assunti, quasi deglutiti, senza essere assaporati nè masticati. Leopoldo Platania, il patriarca di una famiglia composta da lui, il figlio, la nuora e due nipoti, è una persona integerrima, cattolica e rispettosa delle tradizioni. Il suo credo e le sue regole interiori risultano essere tuttavia molto precari perchè mancanti di vere radici e reali convinzioni, quelle che nascono da dentro. I principi del sig. Leopoldo compresi quelli religiosi, sono, infatti, privi di sostanza e votati semplicemente alla forma, la cui inconsistenza viene facilmente smascherata dalla governante di casa, Caterina Leher, donna francese, discreta e misurata, dotata di una saggezza elegante espressa da poche e precise parole, capace di intercettare l’animo umano oltre l’apparenza esteriore. Assorbita da altri pensieri incoffesabili, la sua presenza risulta a volte solo accennata.

A far da contrappunto alla figura della governante, la cameriera Jana ( Nadia De Luca ) che appare come un personaggio esuberante, genuino e sempliciotto: siciliana come la famiglia per la quale presta servizio, è un animo puro, dotato di quella spontaneità affettiva spesso invadente di chi, o per ignoranza o per poca intelligenza, non sa rimanere nei contorni del proprio ruolo. Enrico (Rosario Marco Amato) il figlio di Leopoldo, e sua moglie Elena (Caterina Milicchio) sembrano invece essere due persone sostanzialmente annoiate e vuote, entrambi, presumibilmente insoddisfatti l’uno dell’altra, cercano altrove quei brividi che non trovano più nel loro rapporto di coppia. In particolare Elena, con la sua procacità tenta di sedurre i numerosi uomini che, seppur sporadicamente, frequentano la casa e ai quali non dispiace il contatto fisico con la donna, spesso trovato dietro scuse banali. A ben vedere Elena ed Enrico mettono a nudo anche i limiti di un’impostazione educativa e culturale rigida, rappresentata da Leopoldo, che più si fa oppressiva e ferrea e più genera il suo opposto. All’interno della stessa casa, infatti convivono, in un gioco di paradossi, rigidità e libertinismo che lo stesso Leopoldo fatica a smorzare e riportare sotto la sua regola. Ma la forza del retaggio culturale che accomuna la famiglia tradizionalista dell’Italia degli anni ‘50 avrà il sopravvento, annullando e coprendo, una volta di più, le differenze individuali di pensiero, quando si verrà a sapere dell’omosessualità della cameriera Jana, grazie all’imbarazzata confessione di Caterina, da questa importunata.

Il terremoto emotivo della famiglia, di fronte a tale notizia, assume le forme di sconvolgimento e di rabbia che sfoceranno nel licenziamento immediato di Iana, costringendola a ritornare nel suo paese di origine. Nessuno, eccetto Caterina, si è preso cura delle emozioni della povera cameriera, insultata e maltrattata. La forma e l’attinenza alla regola sono superiori alle persone, ma sono anche un modo per non sentirsi, perchè a volte contattare se stessi fa male, ed è difficoltoso constatare l’incongruenza tra il nostro reale vissuto e il nostro agito. Meglio allora proteggersi dietro la calda coperta della regola, che deresponsabilizza e ci allontana sempre più da noi stessi. Che brusco risveglio quando l’integerrimo sig. Leopoldo apprenderà della morte di Iana durante il suo rientro forzato in Sicilia. E che dire quando Caterina confesserà di essere lei omosessuale e non Jana, che ha pagato per una storia inventata dalla stessa governante che, non potendo dire l’indicibile, si era autopunita per la propria omosessualità facendo propri gli insulti che la famiglia aveva riservato alla sciagurata cameriera. Ma la morte della povera Iana non può lasciar indifferente la governante.

Omosessualità quindi vissuta come colpa, come vizio, come una malattia da fronteggiare per tornare ad essere normali. È questo uno dei temi ancora oggi scomodi e sicuramente inaccetabili nel 1952, epoca in cui Vitaliano Brancati scrisse questa commedia, ovviamente censurata, in cui rendendo dicibile l’indicibile, tolse il velo all’ipocrisia di un certo pensiero dominante, di cui evidenziò la goffagine e l’inappropriatezza, vero elemento fastidioso alla censura.

La regia di Guglielmo Ferro restituisce efficacemente la tensione e il vissuto emotivo sottostante le parole dei personaggi principali, armonizzando, inoltre, umorismo e dramma, trasferendo al pubblico diverse tonalità emotive. Interessante il dosaggio delle luci che con suggestivi chiaro scuri  definisce i contorni emotivi della vicenda. Salvo Manciagli, con accurate scenografie, intercetta e riproduce elegantemente gli allestimenti d’epoca della famiglia italiana medio borghese. Caratteristiche le pareti del salone, luogo in cui è ambientata la vicenda, che invece di congiungersi al soffitto si interrompono a metà altezza, quasi metafora del valore effimero dell’apparenza, insito nell’animo di certi personaggi. Decisamente convincente l’interpretazione di Enrico Guarnieri, nei panni di Leopoldo Platania, che ha dato vita alle diverse sfumature di cui è composto l’umana essenza, divenendo ora un simpatico padre di famiglia, ora un ottuso e odioso patriarca, incattivito e imprigionato più dalla sua gabbia mentale che dagli accadimenti esterni. Tale gabbia mentale, che portò in passato sua figlia al suicidio per un’umiliazione subita dal padre, sembra essere più forte anche dei dolori più intensi. Emblematici i colloqui telefonici di Leopoldo con il suo amico Alfio, entrambi con problemi di udito. Ma a ben vedere, a difettare non è la possibilità di sentire la voce altrui, ma la capacità di “sentirsi dentro”, troppo spesso offuscata e repressa dalla cultura dominante. In crescendo la prova di Ornella Muti nei panni della governante Caterina Leher, personaggio mai protagonista in termini di presenza scenica ma efficacemente ben dosato, come chi ha una visione dall’alto e non necessita di comparire. L’attrice è apparsa emotivamente molto comunicativa negli accenti drammatici della vicenda, a fronte di un’interpretazione sembrata a volte troppo recitata nei passaggi più interlocutori. Buona la prova complessiva degli altri attori che hanno contribuito ad aggiungere sfumature caratteriali alla vicenda.

I costumi, curati elegantemente da Dora Argento, contribuiscono a rendere veritiera una rappresentazione con una tematica purtroppo mai passata di moda.

 

Simone Marcari

16 marzo 2019

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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