Recensione dello spettacolo La Commedia di Gaetanaccio, in scena al Teatro Eliseo dal 19 Febbraio al 10 Marzo 2019
Nel giorno della prima un arco lungo 40 anni si è disteso tra il palcoscenico e la platea del Teatro Eliseo. Sull’uno e nell’altra i protagonisti di oggi e quelli, gloriosi, dell’allestimento, ad oggi unico, del 1978 al teatro Brancaccio. Gigi Proietti, fra il pubblico con la compagna di scena Luisa De Santis, voce storica di Roma, ha potuto passare il testimone all’erede designato Giorgio Tirabassi e, contemporaneamente, applaudire la sua erede legittima, la figlia Carlotta, chiamata ad essere la nuova Nina. Ed il cerchio, perfetto, si è chiuso.
Nel 1825, in occasione dell’Anno Santo, Leone XII proibì ogni rappresentazione, costringendo alla fuga i teatranti. La reale vicenda del burattinaio Gaetano Santangelo, che, trascinando faticosamente il suo castello, sfidò la fame e le vessazioni del dominio papale con l’arma della sua salace ironia, diventò per Luigi Magni, regista che nella Roma ottocentesca trovò l’humus ideale per la sua ispirazione, il pretesto per raccontare una storia di amore ed anarchia, imbevuta di quei valori di una romanità ideale, di cui si fece portabandiera. La Commedia di Gaetanaccio si unisce quindi, in un filo continuo, a quella narrazione che trova la più nota espressione nelle opere cinematografiche di Magni («Nell’Anno del Signore», «In nome del Papa re»).
La contestualizzazione teatrale ha però consentito nuove modalità espositive all’autore, che caratterizza fortemente, talora caricaturalmente, i suoi personaggi o li carica di significati simbolici, così come avviene appunto in quella particolare forma di drammaturgia popolare che è il teatro dei burattini. Ecco allora lo spavaldo Gaetanaccio e la focosa Nina, armati solo della lingua tagliente, tra surreali prelati e gendarmi prepotenti; un immaginario figlio di Pulcinella, Fiorillo (nome ispirato dal tradizionale inventore della maschera), giullaresca voce della coscienza; sopra tutti l’incombente incarnazione della Morte.
La regia dell’allestimento odierno di Giancarlo Fares rispetta l’impianto scenico originale, ricreando quella atmosfera fiabesca e tragicamente comica, imponendo agli attori movenze segmentate, distribuendo a pioggia le tradizionali legnate dal suono sordo, utilizzando gli sgargianti costumi di Santuzza Calì. L’evidente rispetto per uno spettacolo storico, peraltro uno dei tanti capisaldi che hanno costruito la leggendaria carriera di Gigi Proietti, diventa al contempo il maggior limite di uno spettacolo impeccabilmente confezionato, ma che, per comprensibile riverenza, manca di coraggio nel proporre una possibile attualizzazione.
Lo stesso Giorgio Tirabassi, pur sfoggiando consumato mestiere e utilizzando a pieno il DNA romano, sembra adagiarsi sull’interpretazione originale del maestro. Ma se indubbia è la sua presenza scenica, i mattatori sono inimitabili. Carlotta Proietti invece, pur non facendo rimpiangere la sanguigna verve di Luisa De Santis, offre alla sua Nina una disinvolta eleganza naturale. Su tutti ad imporsi è allora un terzo. Carlo Ragone, modificando, come tradizione vuole, la voce usualmente profonda in una parlantina chioccia e stridula, dando risonanza allo spirito partenopeo impresso nel genoma, utilizzando le doti di ballerino in un dinamismo imprevedibile, confeziona, senza cadere nello stereotipo marionettistico, un Fiorillo sorprendentemente surreale, seppur perfettamente in linea con l’impostazione narrativa.
La Commedia di Gaetanaccio, concepita come commedia musicale, rimane nella memoria del pubblico per le bellissime canzoni, composte dal maestro Piero Pintucci, coadiuvato dagli stessi Proietti e Magni, che restano l’elemento di maggiore attrattiva dellom spettacolo. Brani come «Ninna nanna senza cena» o «Me possino ammazzamme» si sono ormai collocati nel patrimonio della musica popolare in romanesco. Però anche nel cantato Tirabassi, pur solido, accentua ancor di più, con un timbro vocale quasi coincidente, la manifesta volontà di omaggiare l’illustre predecessore. Di suo Carlotta Proietti antepone alla espressiva ruvidità della De Santis, una voce cristallina e perfettamente impostata.
La Commedia di Gaetanaccio è quindi uno spettacolo che non può non piacere. Però l’ammirazione per l’attenta regia, per la cura degli aspetti tecnici, per la bravura degli attori, potrebbe essere sopraffatta da una invincibile nostalgia.
Valter Chiappa
23 Febbraio 2018