Recensione dello spettacolo Bar Moments, andato in scena al Fringe Festival di Roma alla Pelanda, ex Mattatoio, dal 24 al 26 gennaio 2019
Il titolo della commedia rimanda immediatamente lo spettatore all’ambientazione chiave di un bar di provincia, teatro, a suo modo, nostrano per eccellenza. I “Bar moments” cui assistiamo ruotano intorno alle vicende di disparati, abitudinari frequentatori del bar gestito dalla proprietaria Lila, energica donna cui spetta il compito di sostenere la propria attività nella cornice dell’Italia fascista del 1940.
Nel ricambio monotono degli avventori del piccolo ritrovo di provincia, incontriamo da principio la figlia della proprietaria, curiosa fanciulla che cerca di distogliere la madre dal suo rigore domestico, ricreando momenti di tenera e goliardica complicità. Seguiamo il lento incidere di una vecchia macilenta signora che immaginiamo molte volte seduta allo stesso tavolo, intenta a mascherare la propria solitudine, a sostenerla attraverso la ritualità di un caffè al bar (corretto), cui la proprietaria cerca di restituire un po’ di calorosa vicinanza; la stessa che con fare disinvolto si frappone poco dopo evitando un aperto scontro tra la anziana signora ed un politico fascista che con tracotanza si appropria di uno di tavoli del locale, una breve sequenza che ci restituisce il clima di tensione sociale propria di quegli anni.
Seguiamo l’incontro di due giovani che si cercano in un intenso gioco di sguardi, ricreando una godibile coreografia tra i tavoli del locale, interrotta dall’ingresso di una suora intenta a ripristinare un’atmosfera sobria e decorosa nel luogo in cui ci si abbandona ad atteggiamenti lascivi ed a qualche peccato di gola. Così, momenti di leggero intrattenimento si alternano alla voce grave della radio trasmettente che comunica i principali fatti della cronaca attuale, ristabilendo solennità e restituendo per pochi istanti un senso di apprensione per il ricordo amaro della storia che fu.
L’impiego delle maschere, unitamente alla scelta di una ambientazione dal gusto familiare (il bar di provincia), risultano essere ingredienti vincenti, funzionali a replicare efficacemente circostanze e movenze stereotipate, proprie della nostra cultura, contribuendo ad instaurare un legame comunicativo con la platea. Le maschere “parlano “ un linguaggio noto, universale, ma che tuttavia non risulta essere suffragato pienamente dalla presenza scenica; la indiscutibile complessità rappresentata dal linguaggio non verbale non è sufficientemente sostenuta e controbilanciata dal ritmo della trama, le cui scene, benché convenientemente incisive, spesso perdono il mordente necessario. La caratterizzazione dei personaggi attraverso l’utilizzo delle maschere è un espediente mirato ed apprezzabile nel sicuro intento dello spettacolo di dare spazio ad una forma di comunicazione ulteriore, ma non possiamo non notare la mancanza di una voce che ci conduca ad un epilogo definito di quelle vicende umane che in scena risultano essere appena tratteggiate.
Elena Federici
3 febbraio 2019