Recensione dello spettacolo “Le ultime lune” di Furio Bordon con Andrea Giordana, Galatea Ranzi e Luchino Giordana. Regia Daniele Salvo. In scena al Teatro Roma dal 29 gennaio al 10 febbraio 2019
No, non è esattamente l’età..e nemmeno quel flusso di autocoscienza con il quale capisci di non essere più quello di prima, è il mondo esterno, sì, è lui a restituirti l’immagine di ciò che sei o non sei diventato agli occhi del tempo. E all’improvviso ci si sente di troppo. Com’è assordante quel silenzio con il quale la realtà ti rimanda il suo fastidio, nascosto goffamente dietro parole mimanti ospitalità e mai abbastanza convincenti..Ti rifugi dietro quei ricordi che non ricordi perchè il futuro si è diradato e nel presente sei invisibile. La cultura, le passioni, persino i sentimenti sembrano anacronistici! E allora si rovista nel passato per cercare di riconoscersi e dare senso al vivere attuale. La tua storia e la tua dignità sono ormai lontani e non interessano a nessuno.
Un ex professore universitario (Andrea Giordana), che condivide la sua casa con il figlio, la nuora e due nipoti, vive in solitudine la sua vecchiaia, bastando a se stesso e facendosi compagnia con i ricordi di allora, le sue letture di adesso e la musica di Bach. Quest’ultima sembra accompagnare l’anziano professore in una dimensione consolatoria attutendogli l’amareza del presente. A sedersi accanto a lui sarà il ricordo della moglie scomparsa prematuramente (Galatea Ranzi ) con la quale egli immagina di parlare e a cui affida i suoi vissuti, così fuori moda e impregnati di paura, da dover essere condivisi solo con chi ha viaggiato insieme a te. Che colpo di fortuna essersi incontrati tanti anni fa! E che bello ora, poter avere una seconda occasione per dire ciò che non le aveva mai detto prima. I ricordi scaldano il cuore quando il mondo diventa sempre più freddo. L’immagine della moglie incarna quella parte del protagonista che ancora grida il suo valore e reclama il futuro, sopraffatta da un vissuto di invisibilità e inutilità che prenderà il sopravvento. Dove anche gli amici sono spariti, forse morti, forse soli e invisibili come lui, il ricordo della sua amata sarà l’unico interlocutore rimasto, ancora più reale del loro arrogante e insensibile figlio (Luchino Giordana), che con sua moglie sembra gradire poco la presenza ingombrante di un vecchio per casa che ascolta Bach. Meglio allora, per l’anziano, trasferirsi in un ospizio, tra silenzi irreali di passi incerti di pantofole, dove nessuno sopporta l’altro ma si combatte in trincea la stessa battaglia. Sarebbe stato insopportabile sentirsi di troppo a casa propria e costingere i nipoti a ritrovarlo, un giorno, stecchito in qualche stanza.
Drammaturgia intensa di Furio Bordon messa in scena per la prima volta nel 1995 con Marcello Mastroianni nel ruolo del proganista. Tale scrittura oscilla tra il dicibile e ciò che invece sfugge alle parole perchè appartenente alle emozioni. Sarà l’Adagio di Bach, molto presente all’interno della rappresentazione, a raccontare ciò che le parole non possono, e trasformare in emozioni sguardi, corpi e dialoghi. Come una voce narrante che si rivolge al pubblico in un a parte, la musica di Bach veicola la dolcezza e la drammaticità di una dignitosa attesa della morte. Sufficientemente tratteggiato dal regista Daniele Salvo, il rapporto tra padre e figlio in cui emerge, attraverso non detti ed emozioni nascoste, la difficoltà reciproca ad esplicitare il proprio affetto per l’altro, preferendo uno stile relazionale caratterizzato da parole, a volte di rimprovero, sostitutive di quelle intime. Solo lo sfogliare insieme vecchie foto della madre e moglie, riavvicina, per un istante di condivisione, i corpi del genitore e del figlio.
Spontanea e credibile l’interpretazione di Andrea Giordana che riesce a valorizzare la drammaturgia nei momenti in cui questa sfiora pericolosamente il già visto. Anch’egli, al pari di Mastroianni, sceglie il registro della sobrietà recitativa nei passaggi introspettivi, differenziandosi da quest’ultimo per un maggiore accento posto negli acuti della drammaturgia, dove si evidenzia la frustrazione, da parte del professore, tra ciò che vorrebbe essere e ciò che è costretto a diventare. Al vecchio professore è affidata gran parte della preziosità della scrittura, e attorno ad alcune frasi, a volte esasperatamenre urlate, altre stancamente pronunciate, si impernia il volto emotivo della rappresentazione. Il senso di humor, che il personaggio interpretato da Giordana possiede, sembra incarnare quella parte vitale che nel protagonista ancora vibra e al contempo espressione di chi già conosce il proprio finale e se ne prende beffa. Al corpo stanco e rallentato del professore, la leggerezza corporea e plastica di Galatea Ranzi esprime la metafora del dialogo tra polarità opposte della stessa persona. Migliorabile in alcuni passaggi la recitazione di Luchino Giordana, che non sempre riesce ad imprimere personalità al suo personaggio rischiando di apparire caricaturale. La scenografia, suggestiva ed accurata, di Fabiana Di Marco asseconda puntualmente lo sviluppo emotivo della vicenda dispiegandosi su due orizzonti opposti: ad un interno casa ben rifinito ed elegante dalle tonalità scure, fa da contrappunto un’asettica e triste camera d’ospizio che accompagna il professore verso le sue..ultime lune.
Simone Marcari
31 gennaio 2019