Recensione dello spettacolo Ombretta Calco in scena al Piccolo Eliseo da mercoledì 24 maggio a domenica 4 giugno 2017
Su una panchina c’è una donna. Una donna che parla tanto, troppo, quasi non possa smettere di farlo. O non voglia, perché le pause troppo prolungate sembrano metterla a disagio. A ben guardare, ci si accorge che forse non può nemmeno lasciare la panchina, sospesa com’è nel vuoto. Esattamente come quell’albero che le si staglia accanto, tanto da mostrare le radici totalmente scoperte sebbene ancora pieno di foglie.
Lei è Ombretta Calco (Milvia Marigliano) e si sta rivolgendo a un uomo, chiedendo notizie della mamma anziana, malmessa, malata, in coma. Dalle sue obiezioni è chiaro si tratti del fratello, che la informa sullo stato di salute della madre, ma forse è lei stessa che si risponde, confondendo bollettini medici, ricordi d’infanzia e vicissitudini sentimentali con quel tono insolente, sguaiato, ironico, petulante, sgarbato eppure tenero che deve averle causato molti guai nella vita, compresa una certa solitudine che molti uomini non hanno saputo mandare via.
Ombretta Calco è tutta qui: nella stupefacente prova di Milvia Marigliano, che commuove e diverte il pubblico con la sua signora borghese di mezza età, ritratto di una Milano molto contemporanea, che si lamenta degli extracomunitari così come dei propri familiari e tenta spietatamente di venire a patti con gli aneddoti della sua storia. Nel toccante testo di Sergio Pierattini, che con splendide pennellate di linguaggio quotidiano dà vita e parola a una creatura ricca di contrasti nel suo essere ordinaria, buffa, spietata, fragile suo malgrado eppure determinata a tenersi il più lontano possibile dall’autocompatirsi. Nella semplicissima eppure elegantemente significativa scenografia di Roberto Crea, che con pochissimi elementi minimali traduce l’equilibrio caduco eppure rasserenante di un limbo dove non è possibile stare troppo a lungo ma che è impossibile lasciare, mentre si compie il viaggio della propria vita.
Il Piccolo Eliseo si avvia verso la chiusura di stagione con uno spettacolo perfetto, impeccabile nella sua brevità, che convince pubblico e critica grazie a un’attrice eccellente e a una storia che per 55 minuti fa sorridere, pensare, interrogarsi, quasi a voler suggerire che nonostante le difficoltà di chi vi lavora, i tagli e le crisi economiche, le polemiche politiche e la complessa situazione sociale, il teatro è ancora vivo. E, quando autentico, riesce ancora a parlare al cervello, passando per il cuore.
Cristian Pandolfino
26 maggio 2017