Recensione dello spettacolo ‘Il berretto a sonagli’ in scena al Teatro Quirino dall’11 al 23 dicembre 2018
Quando Luigi Pirandello scrisse questa commedia in due atti, la definì ‘nata’ e non scritta perché i temi che affronta sono vivi e vividi e ben radicati ancora oggi nell’odierna società: nonostante l’opera sia datata 1916, è innegabile ancora una volta il carattere ante litteram di quelli che oggi sono riconosciuti quali i ‘topoi’ pirandelliani come i paradossi esistenziali dell'individuo e i dilemmi che scaturiscono dalle condanne sociali imposte nei confronti di determinati comportamenti.
Originariamente scritta in siciliano perché pensata per l’attore Angelo Musco, prima di essere messa in scena, tra Musco e Pirandello nacque qualche tensione poiché avevano due visioni diverse di come sarebbe dovuta essere rappresentata l’opera: mentre il premio Nobel avrebbe voluto concentrarsi su temi a lui cari quali quelli della maschera, della pazzia, dell’anticonvenzionalità per offrire al pubblico una riflessione lucida e drammatica sul paradosso dell’esistenza umana, Musco desiderava invece sottilineare maggiormente l’aspetto comico per rendere la rappresentazione ancora più brillante.
L’attore operò, quindi, dei tagli alla versione originale riducendola un po’ ed esaltandone la verve comica senza allontanarsi troppo dal nucleo originario. Fatto curioso è che la versione ridotta di Musco servì in seguito allo stesso Pirandello per trarne la versione in lingua italiana in cui protagonista principae non è più Beatrice come nella versione siciliana, ma Ciampa che si rivela così il più moderno degli eroi pirandelliani.
Il lato comico della commedia non inficia, però, quello drammatico: il pubblico in sala ride e di gusto, soprattutto durante il primo atto, ma attraverso il riso riesce a intuire quale tra i personaggi sia quello maggiormente ferito dal tradimento del proprio coniuge e, sebbene la Beatrice interpretata da Marina Biondi spicchi per forza e passione sul palco, quasi a incarnare tutte quelle donne che cercano giustizia dei mariti, il pubblico non riesce a sviluppare per lei la stessa empatia che prova per Ciampa. È nel personaggio interpretato da Lo Monaco che la platea si immedesima maggiormente perché è quello che soffre di più e che esce più danneggiato da tutta la vicenda. Ciampa ben rappresenta qui il paradosso dell’esistenza umana: nonostante fosse a conoscenza del tradimento della moglie, non ha voluto denunciarla perché diviso tra l’amore che prova per lei e il senso dell’onore, per cui preferisce dissimulare e fingere che tutto vada bene piuttosto che diventare lo zimbello del paese ed essere costretto al delitto d’onore.
Proprio qui sta la tragicomicità del personaggio che appare più reale e attuale che mai man mano che va avanti la storia e nel rendere Ciampa uno di noi. Sebastiano Lo Monaco è stato perfetto: la gestualità, la lingua ma soprattutto l’aver saputo comprendere e far propro il personaggio pirandelliano lo hanno reso il favorito del pubblico. Ciampa si rivela da subito come un uomo autentico, che accetta la sua pena per non perdere per sempre la donna che ama e questi sentimenti fanno di lui un personaggio straziante e drammatico al tempo stesso, ma anche forte e coraggioso perché non è da tutti accettare una situazione del genere a scapito del proprio onore. È un ‘umano troppo umano’ questo protagonista che silenziosamente e astutamente trova la forza di difendere la sua situazione senza permettere alla società di appropriarsene per sbeffeggiarlo e rovinarlo.
In questo scontro tra apparenze e realtà, tra quel che è e quel che sembra, i personaggi di Ciampa e Beatice sembrano muoversi come pupi in balìa di altri pupi, ma Ciampa il ‘berretto a sonagli’, quel segno distintivo dell’uomo deriso dalla società, non vuole indossarlo e per questo riesce a far in modo che sia la stessa Beatrice, sulla quale alla fine rimbalza lo scandalo, a prendersi la responsabilità di ripristinare le apparenze rifugiandosi nella pazzia.
A caratterizzare e rendere più vivi Ciampa e tutti gli altri personaggi che ruotano intorno alla vicenda è anche l’uso del dialetto siciliano cui Pirandello non può rinunciare quale potente mezzo espressivo, così della farsa come del dramma, e che sa conferire maggiore spessore e naturalezza ai suoi personaggi: la Saracena di Barbara Gallo perderebbe di spessore e di autenticità se parlasse italiano. A rendere l’insieme perfetto contribuisce anche la scenografia curata da Keiko Shiraishi dall’aria liberty che prima ambienta l’azione dei personaggi fuori a una terrazza dove si consuma il primo atto più leggero e comico, poi nel secondo atto li fa rientrare in casa quasi a voler rappresentare in modo più intimo e riservato il mondo in cui vivono i protagonisti, un universo chiuso all’esterno da cui non devono trapelare segreti troppo compromettenti.
Diana Della Mura
16 dicembre 2018