Recensione dello spettacolo “Treni ed eroi” di e con Francesco Andolfi regia di Gabriele Linari in scena al teatro Lo Spazio dal 11 al 16 dicembre 2018
Ricordi in bianco e nero così preziosi da sembrare quelle foto di quando eravamo bambini che emergono all’improvviso e non ricordavamo più di avere. Ricordi lontani ma per nulla sbiaditi perchè impossibile dimenticare gli orrori della guerra e la bellezza della gioventù. La storia raccontata da Luigi inizia a Napoli quando si stava in cinque in due stanze e da ragazzini si andava sulla spiaggia di Mergellina; la ricchezza era roba per altri, quelli il cui benessere si udiva da lontano e si misurava dal frastuono del motore delle loro auto. È una storia di venti che cambiano improvvisamente direzione e quando hai ancora sul viso e negli occhi la spensieratezza, già quel soffio ostile e freddo porta via la spiaggia di Mergellina e il parco giochi per far posto alla stazione..ma soprattutto alla guerra.
Luigi per mantenere la famiglia, si arruolerà in aviazione agli inizi degli anni ‘30. Nella promessa di volare basso ci sarà tutta la tenerezza di un figlio che cerca di tranquillizzare la madre preoccupata, anche se poi volare basso è ancora più pericoloso, ma una madre vuole sempre che il figlio non si allontani troppo. Divenne in breve tempo un apprezzato ufficiale che conobbe altri mondi da New York a Berlino. Ma le fortune di un ufficiale e di molti uomini spesso dipendevano anche da un sì e il suo diniego ad aderire alla Repubblica di Salò già sapeva di fucilazione. Anche dopo l’armistizio annunciato da Radio Londra, il ritorno in Italia era appannaggio di coloro con immunità diplomatica. E’ la storia di treni che non mantengono le promesse a cui fu impedito di tornare in Italia, quindi nella sua fuga disperata, Luigi incontrò il diavolo...quello in bicicletta, eroe ieri e campione domani che lo aiutò ad andare più veloce del nemico e a riabbracciare i genitori traferitisi in Umbria, a Città di Castello, sfuggendo ai repubblichini di Salò. Quello di Luigi è anche il racconto di non uomini, i tedeschi che trucidarono gli italiani a Corfù e Cefalonia facendo degenerare i rapporti tra Italia e Germania. Quando da Firenze ritornò per la seconda volta a Città di Castello la situazione era precipitata: solo quattrocento persone erano rimaste in vita in preda ai soprusi e ai saccheggi dei tedeschi. Luigi riesce a far terminare questi scempi parlando al cuore di un capitano tedesco.. ma la sua corsa non è ancora finita: a causa di una vecchia procedura burocratica, più fatale di un proiettile, viene ricercato con l’accusa infondata di aver rubato denaro alla Repubblica di Salò. E sarebbe stato catturato se non avesse incontrato per la seconda volta il diavolo in bicicletta.
L’attore e autore del testo teatrale, Francesco Andolfi, riesce efficacemente a comunicare la pienezza dei suoi vissuti attraverso un monologo tutto d’un fiato, come le corse per fuggire dai tedeschi di cui sembra di sentire gli spari sempre più vicini. Ritmo incalzante in cui vibrano e corrono intense emozioni che colpiscono allo stomaco lo spettatore. Non è un racconto di un accaduto ma un riviverlo, un riparteciparlo fisicamente attraverso il movimento, il sudore, commozione e paura. Ad una convincente interpretazione corporea, si affianca quella prettamente verbale che non raggiunge da subito la giusta incisività, sembrando all’inizio troppo poco modulata e coinvolgente per poi trovare, comunque, la propria tonalità con il trascorrere dei minuti. Ciò che colpisce e traspare, ancor prima e meglio della tecnica recitativa, è soprattutto l’aspetto umano di Francesco Andolfi che, prendendo spunto dai racconti del nonno integrati da quelli paterni, riesce con semplicità e reale desiderio di comunicare, a raggiungere lo spettatore attraverso la cristallinità della sua persona.
La regia di Gabriele Linari, con puntuali tocchi di pennello, intercetta la vibrazione sottostante i racconti, imprimendo ritmo e corpo alla parola. Attraverso la creazione di una scenografia volutamente essenziale, dove un casco da aviatore posato a terra, una valigia e una divisa da ufficiale fungono da testimoni oculari, Gabriele Linari sottoliea ulteriormente la drammatica autenticità del racconto. La proiezione, a cura di Cristiano Pinto, di immagini del passato su un piccolo schermo intervallate da musica d’epoca, accompagnano efficacemente la recitazione colorandola discretamente di poesia.
Non importa se quel periodo sia stato realmente vissuto da tutti gli spettatori perché ci sono storie che ci appartengono comunque in quanto parte di un archetipo che unisce gli uomini. Così su quel treno che non vide mai l’Italia, c’eravamo anche noi con un sasso sullo stomaco e anche noi che non aderimmo alla Repubblica di Salò, saremmo pronti a giurare che quel satanasso in bicicletta che ci aiutò a scappare fosse proprio Gino Bartali.
Simone Marcari
16 dicembre 2018