Recensione dello spettacolo "Tutta casa, letto e chiesa" di Dario Fo e Franca Rame con Valentina Lodovini regia di Sandro Mabellini in scena al Sala Umberto dal 11dicembre al 16 dicembre 2018
Come una frase ripetuta all’infinito in cerca di quella e soltanto di quella parola che non sovviene, il testo di denuncia sulla condizione femminile in relazione allo strapotere maschile, scritto da Dario Fo e Franca Rame presentato per la prima volta nel lontano 1977, si riscopre drammaticamente attuale in cerca della propria soluzione. Valentina Lodovini interpreta quattro tipologie femminili accomunate dalla difficoltà di essere donne in un contesto sociale maschilista che impedisce loro di esprimersi nel mondo da persone libere, imbavagliate invece da una miope, disattenta e pericolosa prepotenza maschile che manca sistematicamente, forse per paura, di ammirarne la bellezza ritagliando per loro il ruolo di oggetto sessuale di proprietà.
La rappresentazione esprime di fatto la lotta interiore e la solitudine della donna stretta dalla morsa di ciò che pensa realmente ma che non potrebbe mai dire e di ciò che può dire senza realmente mai provarlo. Solo quando la catena diventa troppo stretta ci sarà l’urlo, ossia la parola che squarcia, quella gridata perchè troppo tempo sottaciuta e compressa che nel suo essere dissacratoria restituisce per un attimo identità correlando verbo e volontà.
Il primo personaggio è Maria, una donna ancora piacente priva di contatti con l’esterno perché reclusa in casa dal marito ed ha come unico interlocutore la sua solitudine e la dirimpettaia. Nella sua gabbia, la donna, con malcelata malinconia, cerca di autoconvincersi della bellezza della sua vita, di come non le manchi nulla e che in fondo è solo una donna. Cosa vuoi di più di un frigorifero che fa il ghiaccio a pallini ? Con un marito che la vuole sempre sessualmente pronta e la usa come si usa un rasoio elettrico, la donna corrispose in passato l’infatuazione di un giovane insegnante di inglese che le parlò il linguaggio della dolcezza, per lei così nuovo e così dimenticato che il suo corpo sostenne a stento la vibrazione di questa emozione. Solo di fronte alla dolcezza, Maria capì che l’amore poteva essere anche romantico e si concesse la possibilità di sentire il suo corpo e desiderare di fare l’amore, gridando al mondo, ancor prima che al ragazzo, il suo unico, personalissimo e irripetibile ti amo! L’aria ingenua e svampita di Maria contrasta con la drammaticità dei contenuti da lei citati, come se stesse parlando non di sè ma di un’ altra persona ma alcune frasi cadute accidentalmente dalle labbra tradiscono la sua solitudine e la vitale necessità di anestetizzarsi per non pensare. Anche la musica tenuta ad alto volume per tutta casa è un modo per non sentirsi perchè: “Se non ho la musica sparata mi viene voglia di impiccarmi”.
Nel contesto in cui prende vita il secondo personaggio, il grande assente è lo sguardo oltre della società maschilista, incapace di relazionarsi alla pari con la donna, trasformata in puro oggetto di piacere che quando reclama delicatezza o si ribella ai desideri maschili viene condiderata malata e repressa. Il personaggio femminile in questione, la donna oggetto, esprime la propria solitudine di fronte ad un contesto sociale ottuso dove anche la sofferta scelta di abortire attira ostilità sottoforma di obiettori giustizieri desiderosi di farla pagare alla puttana che ha sbagliato. Ma la domanda urlata della donna, che nel momento più difficile reclama la presenza dell’altro chiedendo perchè l’uomo che l’ha messa incinta l’ha lasciata sola proprio ora che ha deciso di partorire, non troverà mai una risposta che la riscalderà.
È un’operaia di fabbrica il terzo profilo femminile, una moglie lasciata sola dal marito, anch’egli operaio, ma troppo attento a se stesso da perdere di vista il vissuto della donna che, invece, cerca invano quella relazione che possa rendere meno buia la loro vita da lavoratori sottopagati e dare senso al matrimonio. Non ci sarà il marito a darle sostegno al risveglio dai suoi incubi, e sarà lei, da sola, ad accompagnare in tram il loro figlio a scuola per poi andare in fabbrica. Vorrei che i problemi fossero anche i tuoi e non solo miei è il grido della moglie che invano cerca di toccare, anche forse solo sfiorare con la punta delle dita, chi ha invece deciso di non essere raggiunto da quella mano.
Sarà una moderna Alice nel paese delle meraviglie a dar vita al quarto personaggio, una donna finalmente disubbidiente alle regole sociali ed incline a seguire se stessa come riscatto alle troppe restrizioni di stampo maschilista, a tal punto da scegliere di essere attrice porno opponendosi così, fino ai limiti della provocazione, alle aspettative esterne. Solo ora che è libera riesce a sentire realmente il proprio corpo e contattare i suoi desideri: le piace correre veloce perchè ha bisogno di risentire sensazioni vere come il vento sui capelli, incurante dei retaggi delle regole maschili provenienti dal marito e dal padre che, come fossero braccia, cercano invano di afferrarla per riportarla all’ordine. Meglio affrontare i draghi,ossia le difficoltà della vita,che si mostrano per quelli che sono piuttosto che i soliti cappellai dalla doppia faccia, affamati di volgarità anche loro però dotati di troppi tentacoli.
Quattro storie di solitudine, quattro storie di gesti mancati e mani che non trovano altre mani ad accoglierle. Non solo denuncia politica ma soprattutto relazionale. I personaggi in questione di fatto gridano la presenza dell’altro, non respingono la presenza maschile, anzi la cercano anche a gran voce, ma l’uomo che reclamano non è quello attuale ma colui in grado di ballare la loro danza, anticipandone i passi e i movimenti, in grado di sostenere perchè cosciente di poter essere a sua volta sostenuto. Non sappiamo se Maria fosse realmente innamorata del ventenne ma certamente grazie a lui e non al marito, ha scoperto gli abbracci e le delicatezze dell’amore e nella relazione ha potuto trovare la sua sessualità.
Valentina Lodovini nel ruolo appartenuto in origine a Franca Rame riesce a dare espressività e frizzantezza alle quattro tipologie di donne interpretate, delineandone efficacemente i diversi tratti caratteriali. La performance della Lodovini è ben sostenuta da una recitazione corporea che con plasticità, dinamismo e sensualità imprime movimento, energia e drammaticità alla parola permettendo all’attrice di creare varianti e nuove colorazioni alla scrittura. Non a caso infatti l’interpretazione risulta essere più convincente nei ruoli in cui l’apporto corporeo si muove in parallelo con il testo, mentre nei panni del primo personaggio, Maria, in cui per contenuti è predominante la parola, è mancata la profondità emotiva sottostante il parlato e non sempre è arrivata al pubblico la disperazione del personaggio che si autoconvince per non sentirsi.
La scelta registica di Sandro Mabellini di rispettare la semplicità della rappresentazione originaria si è dimostrata valida, lasciando che fosse prevalentemente la potenza del testo e la bravura dell’attrice ad arricchire la scena, laddove un intervento più deciso e visibile avrebbe depauperato la potenza espressiva la cui immediatezza risiede anche nella essenzialità del contesto. Di pari passo anche la scenografia, curata da Chiara Amaltea Ciarelli, che riesce ad assecondare il momento divenendo arredamento casalingo quando il tono emotivo è ancora sostenibile, fino quasi a scomparire quando l’intensità del contenuto non permette altro sfondo se non il vissuto emotivo del personaggio stesso. Suggestiva la mudulazione delle luci curato da Alessandro Barbieri le quali, come una seconda voce, raccontano con un linguaggio di alchemiche gradazioni di colore, le emozioni della protagonista e anche le nostre.
Simone Marcari
14 dicembre 2018