Domenica, 24 Novembre 2024
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Copenaghen. Nessuno è quel che sembra

Recensione dello spettacolo Copenaghen in scena al Teatro Argentina dal 4 al 16 dicembre 2018


Neils Bohr, premio Nobel per la Fisica nel 1922 e Werner Heisenberg, premio Nobel per la fisica nel 1932, amici dagli anni Venti, quando Heisenberg si era recato a Copenaghen per collaborare con lui all’Istituto di Fisica Teorica nello studio della struttura dell’atomo e dove era rimasto fino al 1927. Si incontrano misteriosamente una sera di settembre del 1941 proprio a Copenaghen. Al momento dell’incontro, la Danimarca è stata invasa dai Nazisti e Bohr, di origine ebrea, rischia la cattura, mentre Heisenberg è diventato direttore del Kaiser Wilhelm Institut für Physik.


Tutta la pièce teatrale è costruita attorno all’enigma di quel frammento storico. Perché? Cosa si sono detti realmente quella sera, in quella passeggiata? I due scienziati hanno dato in seguito versioni differenti di quel frangente storico e il testo di Maichel Frayne prova a proporre delle ipotesi, ad avanzare ricostruzioni probabili, possibili ma non categoriche.
Bohr deve il suo Nobel agli studi sulla meccanica quantistica di cui è il fondatore. Da lui discenderanno gli studi successivi sulla fissione nucleare grazie all’impiego dell’uranio. Heisenberg, suo discepolo e poi amico, continua i suoi studi a Berlino ed è diventato uno degli scienziati più noti durante il regime nazista.
Nel 1941 il mondo è dilaniato dalla Seconda guerra mondiale, Einstein ha chiesto a Roosvelet di avviare un progetto che prevedeva la costruzione di un’arma che sfruttasse gli studi sulla fisica atomica, informandolo che nel contempo la Germania nazista stava già provvedendo. In questo contesto la figura di Heisenberg appare ambigua: spiato dalla Gestapo, ma impegnato al servizio del regime. Cosa ha comunicato a Bohr nel loro incontro?
In un misterioso Aldilà, le anime dei due scienziati, alla presenza di Margrethe, la moglie di Bohr, si ritrovano in una situazione fuori dal tempo a discutere di quella famosa sera del 1941. Frayn, l’ideatore del testo, ci fa rivivere quel momento con una prima ipotesi interpretativa in cui la visita di Heisenberg sarebbe dovuta al suo tormento interiore: è legittimo l’applicazione della ricerca scientifica alla costruzione di un’arma atomica? La presenza, non affatto marginale, di Margrethe funge da occhio interno ed esterno: pone interrogativi, esprime riflessioni, sviscera l’interiorità dei due uomini a confronto. Sembra essere lei il narratore onnisciente che entra ed esce dalla vicende annodandole sul piano spazio-temporale in questo continuo viaggio nel tempo.
Si rivive di nuovo la scena dell’incontro tra i due scienziati prospettando questa volta una diversa possibilità. Forse Bohr quella sera è scappato inorridito perché Heinsenberg vuole proporgli di affiancarlo nel team che sta lavorando alla bomba atomica in Germania? Ma Bohr nel 1943 si è poi trasferito in America, a Los Alamos, dove ha preso il via il Progetto Manatthan, che stava sperimentando la creazione della bomba atomica. I due qui si attaccano a colpi di responsabilità etiche: chi è più colpevole, chi aveva intenzione di realizzare il devastante ordigno, ma non c’è riuscito, o chi lo ha realizzato realmente, ma per fermare Hitler? 
Si ritorna di nuovo a settembre del 1943, forse questa volta sarà definitiva per la verità. Sembra che Heisenberg preso da scrupoli morali, volesse svelare al suo maestro le intenzioni della Germania in merito all’atomica, ma sembra un’ipotesi molto poco convincente. È Margrethe soprattutto a non credergli, lo accusa di essere stato incapace di mettere a punto l’arma, ma Bohr avanza dei dubbi: come ha potuto, uno scienziato del suo talento, sbagliare il calcolo delle equazioni per stimare la massa critica dell’uranio? L’inconscio gli ha giocato un brutto scherzo? Ha boicottato volutamente i piani di Hitler? Allora Heisenberg avrebbe salvato l’Europa?
Non ci sono verità assolute, ma relative: è questa una delle implicazioni più significative della meccanica quantistica e anche lo spettacolo sembra rispettarla.
Copenaghen è uno spettacolo che è giunto al suo diciannovesimo anno di vita con gli stessi attori e con lo stesso indiscusso successo. Tutte serate sold out al Teatro Argentina, che hanno previsto anche una cospicua presenza di studenti e studentesse. Il gradimento di una materia così complessa che non ha mai visto cali in questi anni è dovuta a più ragioni. È rintracciabile nella struttura drammaturgica che prevede uno spazio e un tempo indeterminati, viaggiando su più piani temporali che si intersecano tra di loro permettendo di osservare da un’ottica interna ed esterna, da vicino e da lontano le vicende rappresentate. La trattazione di tematiche scientifiche avviene con naturalezza e disinvoltura, ricorrendo a metafore tratte dalla vita quotidiana e paradossi, che si traducono in squisite lezioni di fisica, grazie all’eccellente testo di Michael Frayn. La regia di Mauro Avogadro ha ottenuto una riuscitissima caratterizzazione dei personaggi. I dubbi, i tormenti, le esitazioni di Heisenberg, efficacemente interpretato da Massimo Popolizio, appaiono non solo nella voce ma anche nella gestualità e nella mimica nevrotica e stereotipata, mentre le conoscenze, l’imperturbabilità e la passione scientifica di Bohr trasudano dalle sue pose autorevoli, a cui presta il volto un impeccabile Umberto Orsini.  Giuliana Lojodice veste i panni di Margrete, quasi un’ombra, sullo sfondo, ma onnipresente nel suo ruolo.
Un vero capolavoro del teatro diventato ormai un classico, che in questo caso ha il merito di essere uno strumento di divulgazione scientifica, ma anche di ricerca etica.

 

Mena Zarrelli
14 dicembre 2018

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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