Recensione dello spettacolo “Carta straccia”, in scena al Off/Off Theatre dal 27 novembre al 9 dicembre 2018
Nel laboratorio di Agostino (Pino Strabioli) e Teresa (Sabrina Knaflitz), dove si lavorano carte pregiate, il 1968 entra solo attraverso le canzoni di Patti Pravo. Fratellastri in una famiglia squinternata creata da un padre libertino, chiusi nell’angusto ambito della loro attività, trascorrono il loro tempo battibeccando come zitelle inacidite. Il passato è fatto di rimpianti e ambizioni non soddisfatte, il futuro è nella chiusura dell’attività e in una prossima fuga dalla città.
Il vento del presente irrompe improvvisamente nella loro quotidianità, incarnato in Remo (Barnaba Bonafaccia), il nipote mai conosciuto. L'eccezionale prestanza del giovane accende i sensi di entrambi (Agostino è omosessuale), la sua irruenza scuote le loro vite. Ma in un finale agro quel vitalismo rivelerà la sua vera, drammatica natura.
Il garbo è la cifra stilistica di questa breve pièce (poco più di un'ora di spettacolo). Sottile e salace l'umorismo che i due protagonisti si scambiano durante le loro schermaglie, lieve il tocco con cui si affrontano le situazioni più pruriginose. In questo territorio Pino Strabioli, con la sua naturale eleganza, si muove a suo agio. Con una cadenza cantilenante e una spruzzata di accento napoletano rende gustosi, e talora esilaranti, i siparietti con la sua compagna di scena che invece, pur sostenendo il ritmo vivace impostole, tende inevitabilmente a scivolare sopra le righe. Il risultato è ben confezionato e adattissimo a divertire la patinata platea presente, che ha dimostrato con risate ed applausi il suo apprezzamento.
Ma “Carta straccia” sembra non ambire ad altro che essere un divertissement, appunto, garbato. Un richiamo cronologico riconduce, per chi avrà voglia di fare una ricerca, alla cronaca del tempo (l’assalto degli squadristi di Caradonna alla facoltà di Giurisprudenza). Nulla più: le tematiche politiche vengono (letteralmente) soffocate. Così come Agostino e Teresa, l’autore Mario Gelardi lascia il 1968 fuori dalla finestra, unico accesso consentito a Patti Pravo. Il testo mostra le sue potenzialità solo nel nero (è il caso di dirlo) coup de théâtre del finale. Ma ormai è tardi.
Gelardi, come i suoi personaggi, lascia sul palcoscenico del Teatro Off/Off una materia magari pregiata, intessuta con fili di seta, ma inevitabilmente leggera: carta appunto. Velina, però.
Valter Chiappa
08 Dicembre 2018