Martedì, 05 Novembre 2024
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La lotta interiore di un cuore di vetro in inverno

Recensione dello spettacolo “Un cuore di vetro in inverno” di e con Filippo Timi, in scena al teatro Ambra Jovinelli  dal 28 novembre al 9 dicembre 2018

In una realtà dalla cui notte sorge l’altra faccia della luna con le sue apparenze contraddittorie, dove anche gli angeli sono imperfetti fisicamente e il loro volo è garantito da un carrello scorrevole dal difettoso meccanismo e dove i giullari sono poeti tristi, un cavaliere seicentesco si incammina verso se stesso per capire l’essenza del suo essere e sconfiggere il drago delle sue paure. Esporrà così il suo fragile cuore di vetro ai gelidi graffi dei suoi timori per ciò che incontrerà nel suo percorso, l’esigenza di intraprendere il quale avverrà in un momento preciso della sua esistenza, quando incontra finalmente l’amore perchè questi richiede coraggio, fiducia di abbandonarsi all’altro e capacità di rischiare il contatto.

Proprio ora che ho conosciuto l’amore devo subito partire ? È la domanda più e più volte ripetuta in cui affiora il contrasto tra la spinta a rimanere e l’esigenza evolutiva che invece lo costringe a guardarsi dentro e che troverà sempre ad accoglierla una risposta affermativa perchè non c’è vita relazionale senza vittoria sulle proprie paure. Anche i suoi compagni di viaggio, uno scudiero, una prostituta, un angelo custode e un menestrello sono il riflesso della loro stessa vita, quella vissuta ma soprattutto quella non vissuta, quella scansata ancor prima di assaporarla.

La paura è di smarrirsi nell’amore ed ognuno ha la propria storia di mancato contatto, come lo scudiero che si difende dal mondo diffidando di tutti ma che dopo aver ceduto alla tentazione carnale della prostituta, si dispera perché incapace di vivere il dopo..quando gli abbracci son finiti e ci si ritrova ancor più soli. La prostituta una volta era immacolata come l’angelo ma poi l’illusione di quella vita evaporò e ora, rinunciando alla creazione di un vero legame, tiene lontano la tristezza di allora. Anche il menestrello, sopraffatto dal suo drago, è alla ricerca della vita che sente scorrergli accanto velocemente ma che non sa cogliere, mentre l’angelo, imperfetto come un essere umano qualsiasi, vorrebbe piangere commozione e pietà per le umane vicende ma è limitato dalla sua stessa natura che non prevede lacrime e così anche lui si salva dal rischio dell’incontro. Ciò che differenzia il cavaliere, invece, è la volontà di oltrepassare la rassicurante soglia del già noto assumendosi il rischio di morire pur di scoprire cosa ci sia dietro l’apparenza di stesso ed essere pronto alla relazione piena laddove gli altri si fermano perchè vinti, non dal drago ma dalla sua ombra. Il cammino del cavaliere alla ricerca del drago è carico di tensione emotiva, di urla che esprimono l’enorme sforzo, quasi una violenza verso se stesso, con cui egli affronta il proprio mistero. Amore mi hai lasciato solo a combattere le mie paure è la frase gridata e disperata che squarcia i cuori e comunica il dramma umano al cospetto della solitudine, unica compagna di viaggio ammessa nella discesa nei propri inferi.  

Rappresentazione teatrale coinvolgente dal forte impatto emotivo in cui poesia, dramma, impeto, risata e dissacrazione convergono contemporaneamente quasi per caso, ma invece di dar vita a qualcosa di affannato si organizzano in in una figura volutamente scomposta a causa della lotta dei suddetti elementi nel rubarsi la scena a vicenda. La poesia e la solennità perdono improvvisamente il loro tenore per un dissacrante motto di spirito e questi a sua volta ritorna poesia perchè contiene quella parola, quel sospiro che ci riguarda da vicino ed allarga improvvisamente gli orizzonti. Coinvolgente e di spessore l’interpretazione di Filippo Timi (regista, attore ed autore) nei panni del cavaliere, ma a ben guardare di tutti noi, molto efficace nel dosare la sua presenza sul palco preferendo alla quantità delle parole, l’emotività delle stesse.

La drammaticità del contenuto verbale espresso a volte con un urla disperate risuona nello spettatore, complice anche la scelta di non rinunciare alla ruvidità dell’inflessione umbra che, come quei dischi vecchi il cui gracchiare non disturba l’ascolto ma lo impreziosisce, contribuisce non poco a veicolare l’emozione in modo immediato e terreno. Decisamente di livello la performance degli attori Andrea Soffiantini (menestrello) Elena Lietti ( la prostituta), Marina Rocco (angelo custode), Michele Capuano ( scudiero) perfettamente in grado di narrare i chiaroscuri emotivi della vita dei loro personaggi. La scenografia con la sua semplicità artigianale riesce a restituire ed alternare efficacemente poesia e drammaticità: interessante l’idea di immettere, all’interno di un’ambientazione seicentesca, dettagli vicini ai giorni nostri come l’insegna al neon del Bar e una bicicletta, come a voler sottolineare le contraddizioni del genere umano capace di andare verso il progresso ma incapace di non far guerre. Il pubblico risponde favorevolmente e con partecipazione alla proposta artistica di Filippo Timi ma, a fronte di suggestioni decisamente nutrienti, abbandona il teatro silenzioso in preda alla necessità di cogliere il significato di alcuni passaggi simbolici forse eccessivamente ermetici. 

 

Simone Marcari

1 dicembre 2018

 

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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