Recensione dello spettacolo “Sei personaggi in cerca d’autore”, in scena al Teatro Quirino dal 20 Novembre al 2 Dicembre 2018
Vita o Rappresentazione? Se sia più vera la finzione del vero, se il personaggio travalichi la persona. È il sottile, impalpabile confine, dove Luigi Pirandello continua a condurci. Con il suo ghigno beffardo, ci inoltra nei labirinti delle sue contorsioni mentali, porta ad inerpicarci sulle amate colline del paradosso, per poi lanciarci a capofitto in un abisso, cupo e senza uscita. Ed è lì che, ancora una volta, incontreremo i sei personaggi. Di nero vestiti, con le loro facce terree, ci parleranno nuovamente di un dramma, il dramma che è in noi, svelando con implacabile cinismo la mostruosità della nostra natura, condannandoci senza possibilità di appello al finale tragico. “Sei personaggi in cerca d’autore” contiene, avviluppata nel noto cerebralismo, la summa della concezione filosofica del Girgentano sul teatro e, al contempo, sulla natura umana.
L’allestimento di Michele Placido, curato insieme al Teatro Stabile di Catania, sembra invece mettere in secondo piano la speculazione intellettuale, per porre l’accento sulla mera vicenda, con i suoi immediati richiami a tematiche di continua attualità. Una storia dove le vittime sono le donne, la Madre, disprezzata e poi abbandonata, la Figliastra, oggetto di insane attenzioni e poi abusata, la Bambina, persa per incuria. Dove il carnefice è uno, un uomo; il Padre che, impassibile, cerca di ricucire con il filo della cinica razionalità i brandelli dell’inenarrabile. Una tragedia senza uscita, cui può dare soluzione solo un colpo di pistola. Oppure…oppure raccontare, estrarre con sommo dolore il serpente dalle viscere, rasentando o addirittura abbracciando la follia. Raccontare sul palcoscenico, luogo di una ultima possibile catarsi.
Le prove della Compagnia raccontate nel prologo si colorano stavolta di accenti siciliani e gli attori, con garbata autoironia, riproducono i loro stessi vezzi. Questo vivace fuori copione fa da contrappunto all’incombente dramma, che si materializza dopo l’ingresso dei sei personaggi ed è l’unica, riuscita, invenzione scenica di un allestimento senza orpelli, quasi sciatto. La regia si attiene, non inventa, né si avvale degli strumenti tecnici; gli oggetti della scenografia formano un inespressivo fondale; efficace solo il puntuale contributo puntuale delle musiche di scena. Tutto è lasciato alla recitazione.
Forse desideroso di denunciare, più che di aprire le porte alla riflessione filosofica, di colpire il cuore più che la mente, Placido si affida alla passionalità dei suoi attori per trasferire il suo messaggio. Si defila anche dall’interpretazione, che mantiene sobria (troppo) ed ingessata dalla maniera, abbassando i riflettori sul Padre, cui il testo affida il corpo delle speculazioni pirandelliane. Spara le luci invece su chi dal copione è naturalmente chiamato ad uscire dai labirinti della mente con la forza dirompente della sanguinosa irrazionalità.
Passione si richiedeva e passione senza misura, incontenibile, è ciò che Dajana Roncione offre, regalando una Figliastra straziante, dilaniata fra il dolore lancinante dei pianti dirotti e l’incombente follia, espressa con una ricorrente risata, stridente e irridente. Un’interpretazione, quella dell’attrice palermitana, che non rinuncia ad avvalersi delle potenzialità di una intensa bellezza, ma che tocca le viscere, prima del cuore, spremendole fino allo spasimo, concretizzando nello spettatore quel disgusto e quell’orrore, che aprono le porte all’urgenza della denuncia. E passione, ma intrisa di sangue siciliano, tetra e teatrale (a tratti esasperatamente), è quella che Guia Jelo riversa nella sua Madre, dolente come la Madonna Addolorata di una chiesa della sua isola. Da menzionare infine Silvio Laviano, Regista nel ruolo e di fatto, che orchestra con l’autorevolezza della sua recitazione gli interventi degli altri interpreti.
Il freddo intellettualismo di Pirandello viene bruciato dal calore rovente dei suoi attori, i personaggi cercavano un autore, ad esso si sono sostituiti. Il furente dolore di Dajana Roncione, il pianto interminabile di Guia Jelo, anche l’irrimediabile silenzio della Bambina, rimbombano nelle orecchie, uscendo nella grigia e piovosa sera romana. Non si potrà fare a meno di risentirli, riconoscendo, come purtroppo ancora accade, nello sguardo ogni donna, una nuova Figliastra, una nuova Madre. Ancora una volta una vittima.
Valter Chiappa
22 Novembre 2018