Sabato, 23 Novembre 2024
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KILLOLOGY: alla fine non vi è che distruzione, per tutti

Recensione dello spettacolo Killology in scena al Teatro Belli dal 20 al 24 novembre - Trend nuove frontiere della scena britannica – XVII edizione a cura di Rodolfo di Giammarco

 

Gary Owen è un drammaturgo gallese riconosciuto a livello internazionale. La sua copiosa produzione vanta diversi premi, tra cui il Meyer-Whitworth Award vinto con il dramma The Shadow of a Boy e il Laurence Olivier Award per la categoria Outstanding Achievement in an Affiliate Theatre con Killology.

Killology è un videogame, un simulatore di torture in cui i giocatori uccidono le loro vittime con metodi sadici ed elaborati. Maggiore è il tempo in cui la vittima resta agonizzante e seviziata, maggiori saranno i punti accumulati dal giocatore. Il videogioco possiede una sorta di ferocia ancestrale e oscura, è reiterazione inquietante di brutalità e castigo. 

L’ideatore, Paolino (Emiliano Coltorti), vive un profondo conflitto con un padre contrariato e deluso dalle sue scelte. Non è sufficiente l’autodeterminazione, considerando il perverso contenuto del gioco, per un genitore per cui l’etica e la condotta morale vengono prima di tutto.

Per Paolino, Killology è un personale atto liberatorio, uccidere virtualmente suo padre significa riuscire ad affermare sé stesso. Il videogioco è al centro di una tragedia in cui saranno coinvolti Michelino (Edoardo Purgatori) vittima di bullismo e suo padre (Stefano Santospago) travolto dal senso di colpa e desideroso di vendetta.

Owen scrive una sceneggiatura intricata, in cui i monologhi dei tre personaggi s’intrecciano con magnifica sottigliezza, alternandosi a dialoghi rivelatori, che sorprendono il pubblico con torbidi colpi di scena.

È un dramma viscerale, nutrito da un flusso recondito, che giunge tagliente all’inconscio.

La trama è fitta, ricca di contenuti sociali, psicopedagogici e morali. Un puzzle brutale i cui serpeggianti frammenti generano una tragica concatenazione di eventi. Le colpe dei padri si sovrappongono a quelle dei figli in un perfetto meccanismo ad incastro. La ricchezza economica prevarica quella morale. Il virtuale si fonde con il reale. La violenza è lecita, quotidiana lì dove regna povertà e disagio. Il bisogno d’amore è un cielo vuoto, un buco nero infinito in cui le stelle rafforzano le distanze, così come le relazioni.

È proprio questa tensione tra luce e ombra ad articolare il piano scenico del regista Maurizio Mario Pepe che, con grande sensibilità artistica, ha alimentato questa pungente sceneggiatura, filtrandola con forte densità simbolica. Impeccabili, inoltre, gli attori restituiscono con altissima abilità tecnica le complesse sfumature dei loro personaggi.  

Paolino, ora milionario, è in cerca di approvazione, diviso tra l’odio e l’amore per un padre tanto severo da non riuscire a stabilire una connessione profonda e salvifica. Il giovane imprenditore penserà alla sua creazione come un’esperienza etica, in cui è possibile trascendere gli impulsi confinandoli in una realtà altra. Non farà i conti con il lascito alle nuove generazioni, già contaminate dall’autodistruzione e dalla violenza. Non farà i conti con Michelino, che non può dire a sua madre che le strade sono piene di psicopatici ed è pura fortuna se torni a casa vivo ogni notte. Lui sa tutto sui bulli, con loro condivide le strade e i banchi di scuola. Sin dalla più tenera età assapora solitudine e abbandono, a causa di un padre assente. Ben presto la sua frustrazione muterà in aggressività, conducendolo dritto ai suoi carnefici, che documenteranno la sadica tortura con un video in pieno stile Killology. Suo padre, sarà così tanto colmo di rabbia da voler vendicare l’accaduto, riversando odio e rimorso su Paolino, ritenendo il suo videogioco responsabile di quanto accaduto al figlio Michelino.  

 

I tre personaggi, con rilevanti differenze, oscillano tra bene e male, tra gradazioni cupe e flussi di tenerezza. Le varietà dei piani interpretativi sono, abilmente, intersecate. È un insieme accurato, in cui la scenografia di Nicola Civinini, materica e geometrica, definisce spazi ritmici sul piano orizzontale e verticale. Elementi praticabili disegnano un triangolo, concreto e simbolico, in cui si muovono gli attori, valorizzando l’architettura simmetrica delle sfaccettature dei personaggi. Il tutto sapientemente sublimato dal disegno luci, cadenzato da cospicue cesure, che scandisce con variazioni cromatiche le tensioni tra corpo in moto e materia inerme, tra ombre interiori e rifrazioni organiche.

È un congegno di alternanza fluido e stratificato, in cui le dinamiche di opposizione, eseguite con padronanza mimica e gestuale, plasmano in dinamicità, nell’avvicendarsi dei monologhi, persino l’immobilità scenica. Killology è un simulatore di torture costruito dentro e fuori i suoi protagonisti.

La violenza genera violenza in un eterno ritorno. È un gioco di sovrapposizioni tra vittime e carnefici, un pericolo ampiamente riconoscibile nel funzionamento insano della nostra società.

C’è una repulsione istintiva contro l’atto di impossessarsi della vita di un altro essere umano.

In sala, questa sera è tutto esaurito, il pubblico acclamante nutre un tormento radicato, viscerale.

Adesso, sa che Questa repulsione può essere conquistata.

 

Caterina Matera

24 novembre 2018

 

 

Informazioni

 

KILLOLOGY

di Gary Owen

 

Prima nazionale

traduzione Maurizio Mario Pepe

con Stefano Santospago, Emiliano Coltorti e Edoardo Purgatori

scenografo Nicola Civinini

casting director Federica Baglioni

sound design Lorenzo Benassi

disegno luci Giuseppe Filipponio

regia Maurizio Mario Pepe

produzione la forma dell’acqua

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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