Sabato, 23 Novembre 2024
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Il fu Mattia Pascal e il flop dell’introspezione

Recensione dello spettacolo Il fu Mattia Pascal in scena al Teatro Quirino dal 6 al 18 novembre 2018

 

Tra Il fu Mattia Pascal e altri lavori teatrali che lo hanno preceduto adattati da Daniele Pecci (qui la sua intervista), la prima cosa che salta all’occhio dello spettatore è la “staticità” della vicenda che vien resa ancora più greve da una scenografia che resta anch’essa immutata per gran parte del tempo.

La storia comincia dalla fine. È lo stesso Mattia Pascal (Daniele Pecci) a raccontarla. Lo ritroviamo in una biblioteca di un vecchio convento sconsacrato insieme a Don Eligio (Rosario Coppolino) al quale racconta chi egli era e quel che era la sua vita e di quello che gli resta ormai della sua identità. 

La scena è allestita con scaffali in legno scuro (costituiti da pannelli scorrevoli che simulano il cambio di scena e di ambientazione) colmi di libri; al centro un tavolo, anch’esso in legno, e due sedie. La cupezza, data dal colore del mobilio, indica che quel che verrà narrato di lì a poco non reca con sé i toni di una felice vicenda ma, al contrario, segnerà le sfumature grigie e drammatiche che ne caratterizzeranno l’epilogo. 

Il fu Mattia Pascal, per la regia di Guglielmo Ferro in questi giorni al Teatro Quirino, reca con sé due momenti (alias le due identità del protagonista) della stessa storia, due momenti che vedono in scena, durante il primo atto, la vita di Mattia Pascal e, nel secondo atto, la vita di Adriano Meis. Ma, se ogniqualvolta Daniele Pecci ha abituato il suo pubblico a teatro offrendo uno spettacolo grandioso – seppure con scenografie minime – la stessa cosa non può dirsi con uno dei testi più noti di Pirandello, la cui fruizione non sortisce gli stessi effetti entusiasmanti. Certo c’è da sottolineare la difficoltà di adattare un romanzo a teatro, diversamente da quanto succede con i testi shakespeariani – con cui Pecci si è cimentato in passato – pensati già per il palcoscenico. Senza nulla togliere all’interpretazione di Daniele Pecci e delle sue straordinarie doti attoriali (che ha saputo dimostrare anche questa volta in maniera impeccabile), ci sentiamo però in dovere di dire che, almeno in questo spettacolo, ciò non basta a creare l’effetto wow!. Difatti, per quanto un artista possa eccellere, talvolta un testo, o un personaggio, o la sceneggiatura, rischiano di “intrappolarlo” secondo canoni predefiniti, limitando così la sua sfera di emozioni. La bravura di Pecci sta sicuramente nel sapersi svincolare da questi canoni, di cucirsi a misura il suo personaggio, ma, purtroppo, per via del testo (o della sceneggiatura), viene penalizzato agli occhi del pubblico che in sala è spesso distratto e arranca a seguire la storia.

Il fu Mattia Pascal ha infatti il “difetto” di esser narrato in prima persona, ha una complessità di personaggi, un intersecarsi di situazioni/fraintendimenti/inganni, in più narra della vita due persone (che, invero, è sempre la stessa) e il tutto finisce dove era cominciato. L’assemblamento di tutti questi elementi rende il plot molto dinamico, cosa che invece non si percepisce per tutto il tempo in cui il sipario resta aperto. Tutto si svolge nella stessa scena – gli attori, bravi tutti, si “muovono” nello spazio delimitato dai pannelli/scaffali scorrevoli – a partire dal disastro economico dei Pascal per via della cattiva amministrazione di Batta Malagna (Adriano Giraldi), per poi proseguire col desiderio di vendetta di Mattia che ne disonora la nipote (Marzia Postogna) e che è costretto a sposare, fino a scappare e a costruirsi la nuova identità di Adriano Meis che lo porterà ad innamorarsi di un’altra donna, Adriana, e, sempre per amore, a cacciarsi in un vicolo cieco senza più farvi ritorno o, per meglio dire, ritornare ma da morto.

Far svolgere tutti questi eventi utilizzando la stessa scena e gli stessi costumi (tranne che per alcune eccezioni, ad esempio quando per gli attori giunge il momento di interpretare un altro personaggio) per ogni ambientazione non dà l’impressione, per chi assiste allo spettacolo, dello scorrere del tempo, tanto più se ciò avviene facendo anche uso di poche luci in palcoscenico.

L’intento del regista è sicuramente quello di cogliere l’essenza introspettiva di un testo così complesso di Pirandello e di portarla in scena, peccato però che l’idea – seppur bella e intuitiva – non è stata apprezzata e compresa tra il pubblico.

Peccato davvero, soprattutto per il lavoro svolto dall’intera compagnia, dal cast degli attori e dai tecnici e a coloro che hanno saputo creare delle musiche davvero azzeccate e in sintonia con l’intera storia de Il fu Mattia Pascal. 

 

Costanza Carla Iannacone

15 novembre 2018 

 

Informazioni

 

Il fu Mattia Pascal

di Luigi Pirandello

con Daniele Pecci, Giovanni Maria Briganti, Adriano Giraldi,

Diana Höbel, Marzia Pastogna, Vincenzo Volo

adattamento di Daniele Pecci 

scene Salvo Manciagli

costumi Françoise Raybaud

musiche Massimiliano Pace

regia Guglielmo Ferro

Una Produzione Arca Azzurra Teatro – La Contrada Teatro Stabile di Trieste – ABC Produzioni

 

Personaggi e interpreti

Daniele Pecci (Mattia Pascal/Adriano Meis)

Rosario Coppolino (Don Eligio/Anselmo Paleari)

Adriano Giraldi (Batta Malagna/Pantegada)

Diana Höbel (La vedova Pescatore/la signorina Caporale)

Marzia Postogna (Romilda Pescatore/Adriana Paleari)

Giovanni Maria Briganti (Pomino/giovinetto al casinò)

Vincenzo Volo (Terenzio Scipione)

Maria Rosaria Carli (Pepita/La donna del casinò)

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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