Recensione di Not not not not not enough oxygen in scena al Teatro Belli dal 13 al 15 novembre – TREND nuove frontiere della scena britannica
Not not not not not enough oxygen è in origine un radiodramma, scritto da Caryl Churchill, trasmesso dalla BBC nel 1971 e, in seguito, rappresentato al Royal Court di Londra. La versione italiana, tradotta da Paola Bono, è prodotta dal collettivo Angelo Mai e Bluemotion, che con il progetto Non Normale, non rassicurante, lavorano a diverse opere dell’autrice.
Caryl Churchill immagina una Londra del futuro, chiamata “le Londre”, in cui l’inquinamento costringe la popolazione a vivere in spazi angusti, in preda alla povertà ed alla mancanza di ossigeno.
È in uno di questi spazi angusti che Mick (Marco Spiga) attende l’arrivo del suo secondogenito, Claude (Xhulio Petushi) che non vede da anni. L’unica consolazione di Mick è la compagnia della sua amica Vivian (Aglaia Mora) e la televisione, indispensabile sguardo sul mondo, unico modo per riuscire a vedere Claude, oramai divenuto un artista famoso. La povertà dilaga, l’ecosistema è compromesso. Il mondo è in crescente degrado, regna il caos, i fanatici invadono le strade, ricompaiono le classi sociali. Le nascite sono controllate. In questa deriva apocalittica, è possibile concepire il secondo figlio esclusivamente previa licenza del governo, a fronte del pagamento di un corrispettivo in denaro. L’ossigeno è venduto in bombolette spray, Vivian le usa spasmodicamente. Lei, più di tutti, non riesce a respirare. Lei, più di tutti, col fiato corto e ansimante, e con voce stridula ha un barlume di speranza. Mick è chiuso in sé stesso, nel suo rifugio esistenziale, non a caso, è seduto, molto spesso, spalle al pubblico. L’uomo, che contrariamente a Vivian, non ha gravi difficoltà nel respirare, confida nei soldi del ricco e famoso figlio. Il denaro è una soluzione semplice e immediata per scampare a tale apocalisse. Il giovane Claude, pur rappresentando l’ipotesi di un futuro migliore, non vede oltre sé stesso. Il confronto tra i due sfocia in un’accesa lite, in cui Claude imputa al padre, indifferente e abulico, l’abbandono della madre, in cerca di un futuro certo e più felice, e la successiva scomparsa della stessa.
Dunque la maternità, simbolo di fertilità e prosperità, è perduta, e con essa viene a mancare anche l’ossigeno, fonte vitale.
È netto l’antagonismo tra la funzione femminile, capace di estroversione e rinnovamento, e quella maschile caratterizzata da inerzia e tracollo.
Le donne di Caryl Churchill sono l’emblema della purificazione e della vita, sono protese all’azione. La madre si ribella allo stato di cose e decide di fuggire per trovare un mondo migliore, e allo stesso modo Vivian compra l’ossigeno per poter sopravvivere.
L’atmosfera è torbida e tetra. Numerosi microfoni sono dislocati sulla scena (alcuni sospesi, altri con asta), rievocano il radiodramma e amplificano le voci degli attori, simulando quell’effetto di riverbero, quell’eco di decomposizione che si propaga verso l’esterno.
È il microcosmo familiare a proiettare nel mondo la sua furia apocalittica, la sua tossicità, non il contrario. Giorgina Pi, che cura scene e regia, coglie pienamente tale sottigliezza ed elabora con sagacia la messinscena. Le atmosfere claustrofobiche, evocate egregiamente dall’ambiente sonoro (Valerio Vigliar) e dalle luci (Andrea Gallo), intensificano il clima d’inquietudine.
L’autrice lascia oltremodo spazio al non detto, la composizione registica ne rivela il pregio, plasmando una performance dal sapore ermetico.
Caryl Churchill, con acume premonitore, elabora un dramma estremamente sofisticato, che richiede innegabilmente un notevole sforzo di comprensione da parte dello spettatore.
Sebbene sia un testo scritto nel 1971, ambientato in un futuristico 2010, il dramma ha una ragguardevole attualità.
Eppure, spente le luci e calato il sipario, in quale misura ci sentiamo scossi, noi, che nel 2018 siamo soliti assistere alla privazione dei diritti umani, alla violenza sulle donne, all’infanticidio e al surriscaldamento globale?
Caterina Matera
15 novembre 2018
Informazioni
Not not not not not enough oxygen di Caryl Churchill
con Aglaia Mora, Xhulio Petushi, Marco Spiga
ambiente sonoro Valerio Vigliar
luci Andrea Gallo
consulenza ai costumi Gianluca Falaschi
direzione tecnica Giuseppe Tancorre
assistente di produzione Livia Mastrodonato
regia Giorgina Pi
traduzione Paola Bono
produzione Angelo Mai/ Bluemotion/ 369gradi
in collaborazione con Sardegna Teatro